Youth (La Giovinezza) – La Vita Vista Da Vicino
Inutile dire quanto fosse atteso Paolo Sorrentino dopo il grande successo de La Grande Bellezza. Non che il nostro regista fosse alla prima ribalta internazionale (This Must Be The Place con Sean Penn che sbarcò negli Stati Uniti è di qualche anno fa), ma questo Youth realmente è la prova del nove per lui.
In perfetto ossimoro col titolo (Giovinezza), la trama riguarda la permanenza in un lussuoso chalet svizzero di Fred, anziano compositore e direttore d’orchestra ormai in pensione, al quale viene richiesto di eseguire per l’ultima volta il suo pezzo più famoso davanti a niente poco di meno che la Regina D’Inghilterra. Con lui, il suo amico regista, Mick alla scrittura del suo ultimo film, da lui definito il proprio testamento artistico, con il quale passa il suo tempo a disquisire di tutto, riflettendo sulle loro esperienze ora che si avvicina il crepuscolo.
In realtà, Youth è molto meno crepuscolare di quanto possa apparire, molti gli sprazzi leggeri (sempre amarognoli) che alleggeriscono il contesto e l’ambientazione, dominata dal bianco e dal grigio all’interno dello chalet, ma dal verde dei monti svizzeri al di fuori di questo (non è casuale, come rivelerà un medico quasi alla fine). In effetti, questo film appare più appartenente alle atmosfere rarefatte di un opera come Le Conseguenze Dell’amore (anche questo ambientato in Svizzera) piuttosto che ai barocchismi saturi de La Grande Bellezza o Il Divo, con tempi dilatati, scanditi da dialoghi che , in pieno stile sorrentiniano, appaiono spesso sospesi, integrati e definiti dalle immagini più che dalle parole.
Questa integrazione necessaria di parole ed immagini è forse la cifra stilistica più importante di Sorrentino, che in qualche modo lo assimila al più europeo dei grandi registi USA, ovvero Terence Malick: e senza le immagini, le parole diventano incomprensibili, e le immagini senza le parole, troppo ampie. Per fare un esempio musicale, un po’ come Comfortatbly Numb dei Pink Floyd o La Donna Cannone di De Gregori, perfette fusione di testi e note.
Cosa è la Giovinezza secondo Sorrentino? È la vita stessa. La Passione, il ruolo da protagonista nel tuo Grande Spettacolo. Il resto dell’esistenza è una mera comparsata, o la replica di uno spettacolo già visto fin troppe volte. Come ci dirà Mick, forse nel momento più emblematico (e occhio al finale… dove siamo noi?) : la Vita vista da vicino.
Detto questo, però, e purtoppo, per quanto sia apprezzabile come lo scostamento rispetto a La Grande Bellezza sia notevole e coraggioso, Youth appare fin troppo rarefatto. Molte scene e molti personaggi, a differenza dei suoi precedenti lavori, appaiono spuri e difficilmente collocabili nell’ottica del film: l’omaggio a Maradona, la massaggiatrice-danzatrice da Wii, l’attore che interpreta Hitler, o fin troppo prevedibili (la storia della figlia di Fred con lo scalatore, la giovane prostituta per “anziani”, lo spettacolo finale). Non che manchino scene davvero significative: oltre a quella che vede Miss Universo “trasfigurata” fare il bagno coi nostri due eroi (la locandina del film), bella quella dove Fred “scova” la musica in una mandria di placide vacche. La Musica (la Vita) è ovunque.
Bravi i protagonisti (più Harvey Keitel che Michael Caine), meno efficaci gli altri (Rachel Weisz in testa, ma anche Paul Dano sembra un po’ fuori forma), splendide le immagini. Attenzione anche alla breve, ma intensa apparizione di Jane Fonda, sboccata ma disincantata musa di Mick. Stavolta però, la musica (ed è paradossale vista la trama) è meno efficace di tante volte, meno emozionante.
Ci azzardiamo a dire che se Youth fosse uscito prima de La Grande Bellezza, sarebbe probabilmente passato inosservato. Un film minore nella cinematografia di Sorrentino: speriamo che, a differenza di Mick, non sia questo il Testamento artistico del regista napoletano. VOTO: 6,5/10