Whiplash – Full Metal Jazz
Se mai ci fosse un motivo per cui amiamo il cinema made in USA, potrebbe essere per lo stesso motivo per cui gli Europei rimangono stupiti in un viaggio Oltreoceano: è tutto così grande, così esteso. Larger than life. É la stessa industria cinematografica che produce blockbuster come Il Gladiatore e Titanic e gioielli narrativi come Birdman e, appunto, Whiplash, seconda opera del 30enne (!) Damien Chazelle.
Il giovane Andrew studia batteria al primo anno del prestigioso conservatorio Shaffer di New York: é la sua unica passione, alla quale sacrifica ogni relazione umana. Arriva la grande occasione: Terence Fletcher, insegnante esigente e spesso crudele, lo recluta nella Band ufficiale del Conservatorio. È l’inizio di una grande ascesa? O piuttosto il primo passo verso una ossessione che lo distruggerà?
Whiplash prende il nome da uno dei pezzi del repertorio della Band, ma allo stesso modo rievoca le “frustate”delle bacchette sulla batteria, e, in senso più metaforico, quelle che si infligge Andrew (e a cui viene sottoposto dal dispotico Fletcher) sia fisicamente che emotivamente per diventare una star del jazz, e a cui viene sottoposto lo stesso spettatore che non può non chiedersi a che scopo un essere umano dovrebbe essere sottoposto a quello che più che uno sviluppo personale e professionale sembra una distruzione programmata, un sacrificio sull’altare dell’arte.
L’opera di Chazelle (parzialmente autobiografica) ha tantissimi punti di pregio, a cominciare dalla fotografia che ben incarna ll look raffinato e allo stesso tempo “indie” del mondo del jazz: e quello che è stupefacente, è che mai Whiplash sembra un prodotto low cost come effettivamente è sulla carta. Merito di un’industria cinematografica di livello spaventoso, imparagonabile al cinema europeo, italiano in primis, dove si assiste al processo contrario: al budget (anche) elevato, si ha la sensazione di qualcosa di artigianale (in senso negativo).
Inutile aggiungere che il pezzo forte del film siano le scene musicali, stratosferiche per carica visiva ed emotiva, e riescono ad appassionare persino a un genere non proprio accessibilissimo (e a volte noioso, diciamo la verità) come il jazz. Dove é il trucco? Solo mestiere?
Eh no. Come dice Fletcher, essere tra i migliori musicisti jazz di New York significa essere tra i i migliori musicisti del mondo. Gli interpreti sono il trucco. Come nel jazz. In Italia ne abbiamo pochissimi a questo livello.
In Whiplash il protagonista Miles Teller, (autodidatta alla batteria nella vita), è perfetto nell’incarnare una bidimensionalità asolescenziale di musicista ammirevole per dedizione e fastidiosa per arroganza con gli altri esseri umani. Un Giovane Holden , per parafrasare Salinger, pronto a morire nobilmente piuttosto che a vivere umilmente per raggiungere il suo scopo. Ma il finale è tutto suo.
E non possiamo non citare JK Simmons nei panni di Fletcher, meritatissimo premio Oscar per una parte che, più che un insegnante, ricorda (in peggio) i sergenti di Ufficiale e Gentiluomo e Full Metal Jacket. Brutale, sprezzante, manipolatorio fino allo stomachevole, con un’etica del suo ruolo quasi spartana nel far emergere il talento (meglio spezzarsi e spezzare, subito o nel futuro, che rimanere mediocri… E questo lo rende simile ad Andrew), vendicativo, ma alla fine pragmatico. Mille sfaccettature, mille contraddizioni. Vale quasi il biglietto del film da solo.
Whiplash è un film musicale che piacerà anche a coloro che non sono appassionati del genere: un Saranno Famosi 2.0 tutto Sudore, Lacrime e Sangue (letteralmente) che emoziona, stupisce, indigna ed esalta. VOTO: 8,5/10