Vizio Di Forma – Un Noir Tanto Fumo (e Poco Arrosto)

Paul Thomas Anderson, regista semi-mitologico di Boogie Nights, Magnolia e Il Petroliere porta sullo schermo Thomas Pynchon, scrittore complesso come pochi nel panorama letterario USA, con un romanzo di qualche anno fa, ambientato nei lisergico 1970. Il detective hippie Larry “Doc” Sportello viene incaricato dalla sua ex, di ritrovare la sua nuova fiamma, il ricco magnate immobiliare Wolfman. Rimane invischiato in una storia di poliziotti complottisti, cartelli della droga integrati come corporazioni, servizi segreti, sette orientali, movimenti hippie, fratellanze ariane e chi più ne ha più ne metta…

In effetti il film di Anderson si presenta, in pieno stile 70s come un viaggio psichedelico lungo 2h30’, oscillando tra il noir alla Philip Marlowe e la farsa un po’ fricchettona. Lo spettatore è subito assalito da un senso di paranoia e allucinazione come se fosse sotto effetto delle stesse sostanze che il buon Doc usa ed abusa, anche perchè la storia non segue un percorso lineare, ad esser sinceri non sembra neanche seguire un qualunque sviluppo, quasi che la trama fosse un optional.

Che dire di Vizio Di Forma? La confezione è spettacolare, bellissimi i colori saturi e le ambientazioni stile Hair, con alcune scene spassosissime, tipo la visita al bordello o la festa con tanto di Ultima Cena hippie a base di pizza. Il cast è stellare, con Joaquin Phoenix nei panni di un John Lennon strafatto improbabile investigatore privato dalla scarsa igiene, e tutta una serie di comprimari che vanno dal poliziotto reazionario e cripto-omosessuale Josh Brolin, al saxofonista surfista Owen Wilson, al dentista cocainomane Martin Short, e poi Eric Roberts, Benicio Del Toro, Reese Witherspoon. Musiche d’epoca azzeccate e di alto livello (del resto, si tratta di un periodo d’oro da questo punto di vista).

Detto questo… inizia il resto del film. Anche a prenderlo così come è, un trip psichedelico, Vizio di Forma appare all’inizio divertente, spesso pretenzioso, e alla fine confuso e luuungo. Se dovessimo rifarci a film simili, ad esempio Paura e Delirio a Las Vegas, oppure Il Grande Lebowski, l’opera di Anderson, pur essendo interessante l’idea del noir paranoico e lisergico, appare incoerente sia per tono narrativo, che altalena casualmente tra la parodia e il serio, sia per coerenza di esposizione, con realtà e allucinazione che si intrecciano senza soluzione di continuità, così come i personaggi che entrano ed escono di scena senza veramente un motivo. A volte si ha la sensazione che quello che è sullo schermo sia il frutto dell’immaginazione di Doc, ma a differenza di Paura e Delirio o Il Grande Lebowski, rimane una sensazione, mai risolta fino alla fine (vi troverete spesso a dirvi “e quindi? cosa è successo?”) e   troppe sottotrame rimangono incomprensibili e dispersive ai fini delle ricerche di Doc. Aggiungete che in generale manca proprio il senso di leggerezza che caratterizza gli altri due e capirete perchè la fine arriva neanche un minuto troppo presto.

Dopo il mezzo passo falso di The Master, Paul Thomas Anderson appare in piena involuzione: persa la bellissima e armoniosa coralità dei suoi primi lavori, (e privo di una star magnetica come lo sono Daniel Day Lewis o Philip Seymour Hoffman), questo lavoro è ambizioso, ma le singole scene, per quanto ben fatte, e qualcuna persino quasi-iconica, non bastano a salvare il tutto. Tanto “fumo” (in ogni senso), poco arrosto.  VOTO: 5/10

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