
Vita di Pi – Scegliere il Proprio Significato
Non si può certo dire che ad Ang Lee manchi il coraggio nelle proprie scelte autoriali… dal matrimonio di convenienza tra due immigrati di hong kong al cinefumetto d’autore, dalla storia di Woodstock alla ormai celebre saga dei cowboy gay, dubitiamo che esista un regista dell’attuale panorama mondiale con un curriculum altrettanto variegato.
Stavolta Lee ci stupisce con la favola metafisica di un giovane indiano che, vittima di un pauroso naufragio, passerà più di 200 giorni in barca con la sola compagnia di una feroce tigre del bengala. Difficile spiegare di più senza entrare nei dettagli del film e non rovinare la sorpresa finale, ma si tratta di un racconto incredibilmente denso di significato, che parte dalla ricerca di Dio attraverso la religione e arriva al concetto di sacralità dell’esistenza in ogni suo momento ed ogni sua forma. In altre parole, Vita di Pi (che significativamente prende il nome dall’abbreviazione del protagonista – chiamato Piscines Molitor su ispirazione di uno zio quasi mitologico – e che ne rappresenta anche le forti inclinazioni matematiche – il Pi greco per intenderci), si propone, attraverso una bellissima, drammatica parabola imbevuta di senso della meraviglia di dare un senso alla Vita che ci succede tutti i giorni. La manifestazione del Sacro in ogni suo aspetto, e l’imperscrutabilità di quello che ci succede, nell’ottica di un Disegno Divino più grande di quello che può sembrare una mera apparenza. .. in modo non casuale, il Divino si manifesta in vari momenti del film proprio negli Occhi (della tigre, di un pesce, dell’orangutan, ecc.) specchio dell’anima, strumento di conoscenza della realtà e portale verso un diverso piano dell’esistenza nelle molte religioni (come ad esempio nella religione hindu, alla cui iconografia il film attinge a piene mani).
Il saper guardare alla vita, alla realtà, lo scegliere come vivere la propria esistenza, come interpretarne le meraviglie e le sofferenze, la materialità come manifestazione di qualcosa di più profondo, e potente, è il tema della metafora di Ang Lee. Preso nel proprio limitato e mortale passaggio su questa Terra, l’Uomo è ben poca cosa, eventi che ci succedono, irripetibili nella nostra individualità, banali nel contesto del genere umano. Nasciamo, cresciamo, soffriamo, uccidiamo, amiamo, odiamo, impariamo, moriamo. È il senso che diamo a quello che ci succede, come scegliamo di vivere le nostre esperienze che fa la differenza, il concetto di responsabilità, come abilità di dare risposte agli altri, ma anche a noi stessi.
In definitiva, Vita di Pi è una straordinaria rappresentazione visiva di cui non sempre si riesce ad afferrarne la pienezza… così come nello stesso modo in cui gli strumenti cognitivi della scienza non sono sufficienti a spiegare al buon Piscine Molitor tutto quello che siamo. La fotografia, i colori e il simbolismo scelti da Ang Lee, uniti ad un 3D raramente così efficace, ne fanno un’esperienza che, per tanti versi, può ricordare 2001 Odissea Nello Spazio, così diversa, eppure così simile nell’affrontare le tematiche del trascendentale, non attraverso la spiegazione, ma attraverso l’evocazione. Non si può non uscire dalla sala risuonando di concetti forse non pienamente esprimibili a parole, ma che si possono solo accettare nella loro universale inevitabilità. VOTO:8/10