Truman Capote – A Sangue Freddo (2005)

Truman Capote – A Sangue Freddo (2005)

Se pensate che ad Hollywood le buone idee abbondino, beh, non sempre è cosi. Nel 2005 ben due case di produzione pensano di realizzare il biopic dello scritore Truman Capote, più esattamente la stesura del suo capolavoro, A Sangue Freddo, forse il primo esempio di romanzo-veritá, ovvero la versione romanzata di un fatto di cronaca. La spunta questo film di Bennett Miller che di fatto costringe l’altro ad uscire nel 2006. Infamous, questo il titolo dell’altro,  in effetti è un buon film ma, purtroppo per il regista McGrath, Miller sforna uno dei più bei film della prima decade degli anni 2000. 

Gli eventi narrati vanno dal 1959 al 1965, anno in cui uscirá il libro: Truman Capote (interpretato da Phillip Seymour Hoffman), autore di culto del periodo (é l’autore di Colazione da Tiffany), intellettuale, plateale, istrionico, omosessuale, trova un trafiletto di giornale: 4 persone massacrate nella loro fattoria a Holcombe, Kansas. Senza particolari ragioni, decide di scrivere un articolo per il New Yorker, basandosi sulle interviste di chi conosceva la famiglia. Si trasferisce nel Kansas insieme all’amica Harper Lee (se il nome vi dice qualcosa, beh, dovrebbe. È l’autrice de Il Buio Oltre La Siepe) e svolge il suo lavoro di ricerca giornalistica. Succede l’inaspettato: mentre è in Kansas, catturano i due criminali e li riportano a Holcombe; avrá modo di conoscerli incidentalmente, ed adotta la loro causa, in particolare quella di Perry Smith (un Clifton Collins jr strepitoso). Ma il suo obiettivo è meno che idealistico: vuole semplicemente tenerli in vita abbastanza per farsi raccontare la loro storia, e trasformare l’articolo in un libro. Ci riuscirà.

Se questo breve sunto, vi fa apparire il personaggio principale mostruoso, è perchè effettivamente lo è: l’interpretazione di Hoffman, strameritato Premio Oscar, è magistrale, ed estenuante per come regge quasi integralmente le due ore di film, ed il personaggio che ne emerge è di una complessità tale che non può non colpire già ad una prima visione. Intrattenitore da salotto sublime (alcune scene con lui al centro dell’attenzione, una specie di sacerdote di sabba mondani, sono esilaranti), oratore e scrittore raffinato, personalità frammentata e fragilissima, manipolatore ed untuoso, magniloquente e affascinante,  oscilla tra verità e bugie (raccontate in primis a se stesso), il serpente che avvolge e finisce con l’incantare se stesso. La sua capacità di entrare in sintonia con l’interlocutore è miracolosa, e sembra parlare alla pari sia con la studentessa di campagna, che con lo sceriffo del Midwest, con i socialite di New York, e con i due criminali in carcere. In particolare, il rapporto quasi morboso che stringe con Perry Smith, ai limiti della fascinazione (a differenze di Infamous dove l’innamoramento non è solo suggerito), dove un po’ alla volta entra nella sua intimità, lo violenta psicologicamente per ottenere quello che vuole, per poi lasciarlo e prenderlo quando ne ha bisogno. Emblematiche due scene: quella in cui confida alla’amica Lee di pregare con lui affinchè la Corte Suprema mandi il suo “amico” Smith al patibolo, in modo che il suo romanzo possa avere finalmente una conclusione; e quella di addio ai due criminali prima dell’esecuzione, un’interpretazione dentro l’interpretazione che lascia attonito lo spettatore: davvero prova quei sentimenti? O prova quello che DOVREBBE sentire in quel momento?

Al di là dell’interpretazione di Hoffman, talmente perfetta che non posso dire altro se non di  asssistere e basta alla voce, le mosse, il modo in cui “indossa” la sigaretta, in cui cammina,  in cui ride di quella risata chioccia e irritante, in cui stringe le narici (peculiarità più volte riportata del vero Capote), il film è un gioiello di fotografia e costumi, oltre che altre interpretazioni di altissimo livello: Catherine Keener (l’amica Harper Lee, prima sua adorata ancella, poi disprezzata quando raggiungerá il successo), il già citato Clifton Collins jr, ma soprattutto Chris Cooper, lo sceriffo prima sospettoso, poi fascinato, poi disgustato quando ne smaschera il modus operandi manipolatorio e che, unico a riuscirci in tutto il film, impietrisce Truman Capote quando lo fulmina con una battuta sul titolo del libro: “A Sangue Freddo si riferisce all’efferatezza del crimine, o a come fai le tue ricerche?“. Da cineteca.

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