Trainspotting (1996)

Trainspotting (1996)

Quali sono i film che meglio rappresentano la fine del Ventesimo Secolo? Nel 1999 ne escono ben 3 che, a mio modesto parere (e me ne prendo piena responsabilita’!) si giocano le medaglie: in ordine alfabetico American Beauty di Sam Mendes, Fight Club di David Fincher e Matrix dei fratelli Wachowski.

Cosa hanno in comune questi film? Parlano di un risveglio, dell’onda che si spezza, di quel punto delle montagne russe dove sei in arrivato in cima e sai che stai per accelerare … In basso. E fuori metafora, profeticamente, la doccia fredda cade l’11 settembre 2001, l’inizio ufficiale di ogni crisi del Mondo Occidentale Come Lo Conoscevamo Fino ad Allora.

Eppure, io trovo che tutti e 3 sono in qualche modo debitori di un piccolo, grandissimo film di 3 anni prima, ovvero Trainspotting di Danny Boyle, che in qualche modo detta getta le basi ideali, visive e narrative dei 3 filmoni mainstream di cui sopra, per analogia in Fight Club, per estensione in Matrix, e per assurdo in American Beauty (non ci credete? Comparate la ribellione alla vita borghese di Kevin Spacey con tanto di droga con quella di Ewan McGregor; nonchè l’iperalismo del mare di rose in American Beauty e il mare di m…a in Trainspotting!)

Trainspotting, si dice girato e montato in 8 settimane (!), con la sua storia di droga ed amicizia in Scozia è deflagrante ovunque arrivi: film indipendente britannico, lurido, acido, ipercinetico, punk, esilarante, dissacrante, parte in sordina e poi grazie al passaparola, finisce con essere programmato per mesi nei multisala.

Pugno allo stomaco per le immagini (e non solo), Inizialmente persino accusato di essere propaganda delle droghe pesanti (come dire che Arancia Meccanica incoraggia il vandalismo, o che il Gladiatore pubblicizzi i Combattimenti nell’Arena, visto che ci siamo), il film dell’emergente Danny Boyle (da quel punto fino a The Millionaire del 2008 ogni suo film sarà preceduto dalla dicitura “dal regista di Trainspotting”) è tratto da il bestseller di Irvine Welsh, vero e proprio cult della cultura underground del periodo.

 Il film è una meraviglia dal punto di vista visivo: la presentazione iniziale dei personaggi con i nomi in sovraimpressione (prima volta che si vede sul grande schermo, da lì in poi praticamente visto mille volte),   immersioni nella toilette più schifose che si possa immaginare, lo sprofondare fisicamente dopo la botta di eroina,  la disintossicazione allucinata, il buco della siringa visto da dentro che in realtà (?) è lo scarico di un lavandino, sono il cinema indie anni 90 al suo meglio.

Musicalmente, il film è una storia dentro la storia… Parte da Iggy Pop, per arrivare alla tecno acida degli Underground (Slippy Boy, vero e proprio battito cardiaco del film), passando per Leftfield, Blur, Brian Eno, Elastica ed un Lou Reed mai cosi poetico nella sua Perfect Day: praticamente un viaggio PERFETTO di rinnovazione testimoniato (anche) a livello musicale.

Recitazioni? Difficile trovare il migliore tra Ewan McGregor (Renton,protagonista e voce narrante del film… L’unico che cambierà veramente… Forse), Robert Carlyle (lo psicopatico Begbie, protagonista di una rissa MEMORABILE), Jonny Lee Miller (il viscido Sick Boy esperto in Sean Connery, carnefice e vittima -in una scena agghiacciante della perdita del figlio- allo stesso tempo), Ewen Bremner (l’irrecuperabile sfigato -in tutti i sensi- Spud), Kevin McKidd (il bravo ragazzo destinato ad una fine orribile).

Sarebbe però ingiusto definire Trainspotting un film sui tossici, in effetti lo è solo in superficie; molto di più, racconta di un gruppo di amici la cui fine dell’adolescenza li divide per sempre. Per loro, la maturità arriva come il risvegliarsi da un sogno (per quanto artificiale) per entrare in una realtà per niente promettente. E ancora di più: Trainspotting rappresenta il testamento della Generazione X, quella che avrebbe dovuto cambiare il mondo o essere l’ultima che avrebbe potuto farlo, e finisce con l’essere la prima generazione di sempre del Mondo Occidentale con meno aspettative della precedente. La Fine dell’Era delle Meraviglie. Trainspotting già nel titolo è rivelatore: intraducibile in italiano, il trainspotting è un hobby tipicamente britannico di una sessantina di anni fa, dove si collezionavano gli avvistamenti dei vari treni in un’epoca dove questi erano meravigliosamente diversi tra di loro (una specie di birdwatching, ma sui treni appunto); poi divenuto nel gergo il sinonimo di buttar via il proprio tempo in un’attività senza (più) senso. Qui il trainspotting avverrà in modo drammaticamente visibile quando i trenini della tappezzeria della camera –dell’infanzia- di Renton, scorreranno a causa delle allucinazioni durante la disintossicazione.

Che dire? guardate o riguardate Trainspotting ora, nella seconda decade del Ventunesimo Secolo, per capire dove è iniziata la fine del Ventesimo. Chi lo avrebbe detto che un film di tossici ci avrebbe raccontato in modo così sincero? Monumentale epitaffio: la scena finale con monologo di Renton (la trovate nella sezione Titoli di Coda) . Se ve la siete persa, vi siete persi gli Anni 90. E quello che ci promisero.

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