
Thirteen Days (2000)
Ci sono ottimi attori che si trovano regolarmente (se non in tutti) in brutti film come Johnny Depp o Willem Dafoe; e ci sono attori mediocri che però hanno (spesso) ottimo fiuto per i film, come nel caso di Kevin Costner.
In Thirteen Days, Il regista Roger Donaldson, con la produzione di Costner (che già aveva prodotto e interpretato JFK, il film sull’indagine sull’uccisione del presidente) racconta due settimane nell’ottobre del 1962, la cosiddetta Crisi di Cuba: i sovietici, guidati da Kruscev, decidono di installare delle testate nucleari a Cuba, cosa che ovviamente gli USA, guidati dal presidente John Fitzgerald Kennedy, non accettano. Queste due settimane raccontano di quei giorni drammatici: se mai ci fu un giorno in cui si arrivò sull’orlo dell’apocalisse nucleare, fu quello.
Il film, che quando uscì incontrò pareri tiepidi da parte di critica e pubblico, oggi appare una straordinaria sintesi di cronaca storica e tensione narrativa… per certi versi, ricorda le atmosfere di una serie attuale di grande successo, Mad Men: però, quest’ultima esamina l’apparentemente idilliaca vita USA all’inizio degli anni ’60, i capelli ingelatinati, le grosse montature degli occhiali, le sigarette perennemente pendenti dalle lebbra, le dattilografe con i tailleur ed i cappellini, la gente che guarda le news attraverso le TV nelle vetrine dei negozi di elettrodomestici… mentre nello sfondo succedono scoinvolgimenti politici e sociali che cambieranno per sempre lo stile di vita americano.
Anche in Thirteen days, questi temi vengono mostrati soprattutto attraverso il protagonista, Kenny O’Donnell (Kevin Costner), il segretario del presidente; ma questi funge anche da testimone degli avvenimenti che metteranno a rischio la pace nel mondo: così viene visualizzato l’iniziale scontro tra falchi e colombe nello staff del Presidente; la ricerca di un equilibrio precario che coniughi pace e sicurezza; e le scelte, non sempre corrette del Presidente stesso, comunque raffigurato con una statura di statista di valore assoluto. Reduce da elezioni vinte per un soffio, e il fiasco della Baia dei Porci (una fallita invasione di Cuba), JFK dovrà giocarsi tutto per uscire da una situazione terribile. Emergono bene anche altre importanti figure di riferimento: Robert Kennedy, Robert McNamara; Ted Sorensen e, in quello che forse è il gioiello del film, la famosissima sfida all’ONU tra l’ambasciatore sovietico Zorin e quello USA Adlai Stevenson (interpretato da Robert Duvall, sempre perfetto): pacifista convinto, due volte sconfitto alle elezioni presidenziali, Stevenson rischia anche di essere estromesso in questa occasione, inviso ai “falchi” della propria parte. Ripaga tuttavia la fiducia di JFK con una magistrale batosta dialettica e diplomatica inflitta all’avversario, che porta all’appoggio dell’opinione mondiale nei confronti degli USA.
Thirteen days rappresenta la sintesi perfetta di cinema divulgativo: l’utile per fine, l’interessante per mezzo. Senza mai strafare, e con qualche tocco elegante come l’alternanza delle immagini in b/n e quelle a colori, il film disegna un’epopea terribile e maestosa, dove il mondo trattiene il fiato fino all’ultimo, e gli spettatori con esso. La ricostruzione dei primi ’60 è notevole, le musiche azzeccatissime, gli attori giocano in squadra alla grande, e l’effetto è quello di un magnifico affresco. O di un bellissimo reportage di Life di quegli anni, ma vivo e sempre attuale. E il film si chiude con le parole (vere) di JFK, in sintesi dell’esperienza del confronto col “nemico” sovietico:
“Dunque non concentriamoci solo sulle nostre differenze, ma pensiamo anche ai nostri interessi comuni e a come superare tali differenze. E se le nostre divergenze non possono essere risolte oggi, almeno possiamo cercare di rendere il mondo un luogo sicuro per le diversità. Perché, in fin dei conti, il nostro più elementare legame è che tutti noi abitiamo questo piccolo pianeta, respiriamo la stessa aria, ci preoccupiamo per il futuro dei nostri figli, e siamo tutti mortali”