
La Ragazza di Stillwater – Noi Contro Loro (o Forse No)
Chi si ricorda di Amanda Knox? La studentessa statunitense in trasferta a Perugia accusata, prima ritenuta colpevole, poi assolta, dell’uccisione di un’altra ragazza. Fuor di dubbio che oltreoceano, hanno pensato alla solita giustizia sciovinista e anti-yankee che affligge i loro cittadini appena varcano il confine. Da noi, invece, furono tanti quelli che sospettano che la Knox approfittò di indagini dilettantesche e prove raccolte in modo maldestro per sfuggire alla giustizia sulla base di cavilli procedurali a quello che sembrava un caso di gioco erotico finito male e nel quale lei c’entrava eccome.
Il film di Tom McCarthy, già premio oscar per Il Caso Spotlight, evidentemente prende il caso della Knox e lo trasforma abbastanza per non prendersi una querela (ma la Knox si è fatta sentire…): stavolta il caso si svolge a Marsiglia, e invece che da Seattle, la protagonista Allison Baker/Abigail Breslin arriva da Stillwater, Oklahoma; e invece dei neri, sono coinvolti gli immigrati di seconda generazione maghrebini. Detto questo, ogni riferimento è puramente voluto, e pure le opinioni del regista e dello sceneggiatore (il francese Thomas Bidegain, già scrittore dell’acclamato Un Profeta).
Interessante che però, il regista sceglie non di raccontare l’evento, ma il post-evento dal punto di vista del padre: un ragazzone dell’Oklahoma, Bill Baker/Matt Damon, che fa fatica ad arrivare alla fine del mese e che sceglie di non arrendersi, visto che la figlia gli ha giurato e spergiurato che non è stata lei. Si trasferisce a Marsiglia e lavora li per continuare a cercare il presunto colpevole; con l’aiuto di Virginie/Camille Cottin, attrice madre single che lo accoglie anche in casa, non si darà per vinto.
Tante le tematiche che vengono esplorate e se il rapporto padre-figlia appare il più scontato ed immediato, sono quelle dell’incontro/scontro tra due culture (quella Franco-araba – una Marsiglia che sembra più il Cairo che una città francese – e quella USA dei rednecks che votano Trump e possiedono pistole – come chiedono a Bill durante il film) e quella tra il rapporto giustizia e verità che ci sembrano i più interessanti. Il film, che ha nel binomio Damon/Cottin una strana, ma alla fine plausibile coppia, i veri punti focali dei due punti di vista, è strutturato in modo decisamente anti-convenzionale, e può risultare spiazzante a tutti coloro che si aspettano un cold case classico, con l’americano che trova il colpevole, spaccando porte e denti e salva la figlia riportandola alla civiltà, e invece si trovano un ragazzone in camicia a quadri e berretto da baseball costantemente sulla testa a cui le cose sembrano quasi capitare per caso e armato di una fede incrollabile. Vero però che la trama è estremamente coerente, e si ricongiunge facendo un arco lunghissimo, ma senza sbavature. Bravi e non belli i 3 protagonisti (Matt Damon, Camille Cottin, Abigail Breslin); credibili nella loro normalità e imperfezioni.
A noi è piaciuto molto, e lo abbiamo trovato onesto, intelligente, delicato, e mai sopra le righe. E pazienza se non vincerà nessun premio perché senza paraculismi in omaggio al politicamente corretto e al buonismo che vede sempre bianco=cattivo e altro colore=buono. E notevole il finale, che riassume tutto il viaggio (reale e interiore) del protagonista in pochi minuti. Date un’occhiata e decidete voi stessi se sia lieto no. Sincero. VOTO 7,5/10