The Visit – Le Streghe Son Tornate (?)
Torna sul grande schermo, M. Night Shyamalan, regista di origine indiane che a cavallo tra gli anni 90 ed i primi 2000 sfornò una serie di titoli davvero niente male come Il Sesto Senso, Unbreakable, Signs e che lo additarono come il prossimo Steven Spielberg per fotografia, ambientazioni e capacità di suspence nel pubblico. Purtroppo queste promesse non furono mantenute. I suoi ultimi lavori (citiamo solo After Earth, per fare un esempio) sono stati mediocri a dir poco e la sua carriera è andata decisamente a picco.
Comprensibile che, quindi, The Visit possa essere approcciato con un certo pregiudizio: sarà un film del primo Shyamalan o del secondo Shyamalan?
Ma andiamo con ordine: Rebecca e Tyler vanno a trovare i nonni sperduti nella campagna della Pennsylvania, e si tratta della prima volta che le due generazioni si vedono. Infatti, la madre era letteralmente fuggita di casa all’annuncio del suo fidanzamento con quello che poi diventerà il suo ex-marito, per non ripresentarsi mai più dai suoi. Tutto bene il primo giorno, fatta di passeggiate e biscotti casalinghi; ma già la prima notte la nonna comincia ad avere dei comportamenti inspiegabili. Ed il nonno sembra avere molti segreti da nascondere nella casa… saranno 5 notti e 5 giorni molto lunghi per i due ragazzi.
The Visit è girato nello stile che da The Blair Witch Project in poi sembra uno dei generi più in voga per l’horror, ovvero il finto documentario: Rebecca e Tyler vanno in giro riprendendo con le loro videocam, col pretesto narrativo che vorrebbero ricavarne un racconto per la mamma. In effetti, il film conta molto sulle aspettative dello spettatore, che ovviamente anticipa cosa potrebbe succedere e quali sono gli indizi, gioco che effettivamente funziona molto bene: basti pensare all’ossessione della nonna affinchè Rebecca pulisca il forno entrando completamente dentro (ricorda qualcosa?) o ai racconti del nonno sulla “cosa bianca con gli occhi gialli” (che sarà rivelata in fondo per pochi secondi, quindi occhi aperti). La paura e la tensione derivano più dall’immaginato che dal visto, come ci insegna Lovecraft.
Due gli elementi narrativi originali in un film che effettivamente richiama molti stilemi del già citato The Blair Witch Project, ma anche di Paranormal Acitivity e L’Ultimo Esorcismo: innanzitutto gli intermezzi leggeri di Tyler, giovane rapper in erba, che, sebbene a volte un po’ stonati, rendono più variegato lo sviluppo; in secondo luogo, il tentativo di Rebecca di riconciliare la madre coi nonni, attraverso il link emotivo dello storytelling: raccontare per accomiatarsi dal nostro passato (che accomuna questo film con Il Sesto Senso).
Una cosa la anticipiamo, e che forse è la nota più piacevole di quello che alla fine è un buon film anche se ampiamente imperfetto (per riprendere la domanda iniziale, diciamo che si tratta di uno Shyamalan 1.5): il ritmo sincopato che caratterizza il regista, abbinato al rovesciamento finale delle nostre convinzioni, grazie ad un colpo di scena presentato con una pulizia e semplicità tale da essere disarmante.
A volte l’orrore fa parte della vita indipendentemente da orchi e streghe, invecchiare da soli nel decadimento del corpo e della mente (magari in una “maledetta provincia” come dicono nel film) fa più paura di qualsiasi mostro immaginario. VOTO: 6,5/10