Ad Astra – Nello Spazio, Nessuno può Sentirti Piangere

Ad Astra – Nello Spazio, Nessuno può Sentirti Piangere

James Gray, regista molto particolare e non molto prolifico, 7 titoli in 25 anni, ha definito il suo primo film di fantascienza una via di mezzo tra Apocalypse Now e 2001 Odissea Nello Spazio: un esercizio che fanno i critici a dire la verità, anche se in effetti, si può dire che sia una buona sintesi.

Roy Mc Bride, astronauta che in un futuro forse non così lontano abbandona la compagna per andare alla ricerca del padre, McBride Senior, che su Nettuno sta cercando da 30 anni ormai vita aliena nello spazio: la sua stazione è difettosa e sta causando numerosi danni fino alla Terra stessa, tanto che deve essere eliminata.

Dicevamo un futuro non troppo lontano forse, con una Luna dove ci si arriva con un volo Virgin Atlantic (già annunciato da Ken Branson), si sosta in quello che sembra un centro commerciale con lo StarBucks e il Mac di turno, e ci si sposta sulla superficie a bordo di buggy, sempre che non si venga assaliti da pirati nel tragitto. E un Marte ultimo avamposto, coperto perennemente da una foschia rossa e dove si nasce, si vive e si muore sotto terra.

Verissimi i riferimenti sopra, ma è un film che rimanda anche ai più recenti Interstellar, Gravity, Moon e Il Primo Uomo, con i quali condivide questo film un perenne stato di introspezione; in questo caso con McBride spesso voce fuori campo (quasi alla Terence Malick) oppure a rapporto per verificare il suo stato emotivo, anche a testimoniarne la tremenda solitudine. A ben guardare è questo il vero viaggio del protagonista: sí, la trama è il sempiterno Cuore di Tenebra di Conrad (non certo nascosto, come dicevamo all’inizio, visto che Apocaplypse Now su quel testo è creato), dove il viaggio dentro più importante del viaggio esteriore, sottolineato dall’atmosfera claustrofobica delle navi spaziali, immerse in uno spazio mai così nero e silenzioso. Alla fine, una scoperta del significato della nostra esistenza, se mai ce n’è uno: l’altro, e la gestione dei legami  con l’altro (crearli, mantenerli, elaborarli, reciderli) come sviluppo e specchio della nostra esistenza. CI ha ricordato la storia dei porcospini di Hegel durante l’inverno: abbastanza stretti per scaldarsi, non troppo stretti per ferirsi.

Davvero un anno di rinascita per Brad Pitt, dopo C’Era Una Volta… a Hollywood per Tarantino, questo per Gray è stata una prova ancor più difficile, visto che il film si basa quasi integralmente sulla sua performance. Ci sono un paio di scene di “azione”: una caduta lunghissima, una sfida tra dune buggies alla Mad Max, e uno scontro con dei babbuini-cavie (anche la più cruenta e anche disturbante); ma è fuori di dubbio che il film si basa sui suoi primi piani, e solo un attore con una maturità così piena avrebbe potuto reggerlo. Poi, ovvio il pubblico femminile apprezzerà anche altro. Molto bello il confronto/conflitto col padre, un Tommy Lee Jones molto nella parte del “Kurz” di turno: solo la risoluzione di quell’abbandono mai elaborato, ristabilisce la sanità emotiva del figlio, giustamente rappresentato da un pianto e che lo riporta alla vita reale.

In definitiva: Ad Astra, titolo già emblematico di per se, visto che nell’adagio, alle stelle ci si arriva attraverso le asperità, è un film interessante, non scontato: dove Gray pecca è che, alla fine, non dice veramente mai niente di nuovo che non sia stato già detto, e non mostra mai  niente che non sia stato già visto dai recenti Nolan, Cuaron, Lachazelle e ad onor del vero, in entrambi le categorie, un po’ meglio.

MA quello che gli manca in originalità, compensa in sincerità. Ed è già un bel messaggio così. VOTO: 7/10

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