
T2 Trainspotting – Scegli La Vita, Vent’anni Dopo
A più di due decadi di distanza, Danny Boyle torna sulla scena del crimine, o meglio, di uno dei film più contestati, demonizzati, nichilistici degli anni ’90; ma anche uno dei più sinceri, innovativi, profetici del periodo, ed ad oggi iconico, ovvero Trainspotting.
La storia stranota dei 4 amici di Edinburgo, tossici e sbandati finiva con un clamoroso tradimento, e da lì riparte: Renton ritorna da Amsterdam e ritrova la vecchia gang, o meglio, ritrova Spud, sempre il solito tossico sbandato, ma con venti anni di più; da lì, si rimette in contatto con SickBoy, adesso aspirante magnaccia e ricattatore pornografico (sempre il più nobile del team) e, accidentalmente, con Begbie, lo psicopatico appena evaso di galera. Dopo l’iniziale (comprensibile) scontro, una nuova impresa si profila per i nostri eroi: farsi finanziare dai fondi europei un bordello di lusso con prostitute dell’est. Impresa per 3 di loro, visto che Begbie ha altri e minacciosi piani…
Ci vollero 8 settimane, si disse, per girare e montare Trainspotting nel 1995 (uscì nel 1996, basato sull’opera di Irvine Welsh del 93), e ci sono voluti quasi 5 anni per concepire questo, con una prima sceneggiatura parzialmente basata su Porno, sempre di Irvine Welsh, 2002, quindi a 10 anni dalla prima apparizione del ritorno dei nostri eroi (almeno su carta stampata). Evidente come il regista Boyle ci abbia pensato non bene, ma benissimo, prima di lanciare quella che, ad una distanza tale dal primo film, poteva apparire un’operazione nostalgico-commerciale, quasi fosse una re-union dei Take That. Lo è davvero?
Per tanti versi sì. Non tanto il lato commerciale (non lo è), ma il tasto della nostalgia e della malinconia viene battuto spesso, con rimandi continui, più o meno velati, dove è Renton il collegamento principale, dalla corsa iniziale sul tapis roulant a quando il protagonista che atterra sul cofano di una macchina, fino ai costanti richiami ai cessi e water e più luridi della Scozia e fino alla camera con i trenini, dove lo stesso Renton prova a disintossicarsi (che dava il titolo al libro originale). Per chi non ha visto il primo film, a volte i rimandi sono oscuri, ma per chiunque abbia avuto venti anni alla fine del Ventunesimo Secolo, il nodo in gola arriva spesso. Quando Renton parla alla ragazzina bulgara, separati da 20 anni non solo anagrafici (quasi anni luce, ci sarebbe da dire), su cosa era quel periodo, parafrasando proprio quel monologo, davvero si rimane un attimo in silenzio. Tanti inoltre, le rivelazioni rispetto al primo film, che ovviamente non possiamo anticipare.
E’ un film il cui messaggio finale, però è profondamente diverso dal precedente, così anarchico, legato a quel periodo. Sono pieni di rughe i nostri anti-eroi, ma non per questo meno sbandati. Quella profezia che fu lanciata nel monologo finale del primo film e che prendeva in giro i luminosi anni ’80 degli Wham!, si trova pienamente realizzata ora, un’epoca di Social Network, poche speranze professionali e molta solitudine, dove spesso solo quelli che hai conosciuto da giovane sono le persone con cui puoi ragionevolmente creare un legame affettivo e che sono la vera conquista e la ricchezza di una maturità riconciliante con la vita, questa volta sì. Choose Life.
Malinconia, ma anche molta ironia ed alcune scene strepitose: Sick Boy e Renton al piano al pub dei Lealisti (che poi rapineranno), è favolosa; e se le immagini e la musica, parzialmente riprendono il film originale aggiornandolo (soundtrack comunque splendido), sono davvero in forma i 4 attori. Renton/McGregor maturo, SickBoy/Miller complesso e machiavellico, Begbie/Carlyle quasi apocalittico, e un sorprendente Spud/Bremner, al quale il regista regala una dimensione inaspettata (vedere alla fine). Insomma Vent’anni dopo, si, ma per risentire e rivedere Lust For Life (proprio quando non te lo aspetti più) ne è valsa la pena. VOTO: 8/10