
Sul Confine (2013)
Adattato dall’omonima piece teatrale di Gabriele Di Luca, Sul Confine è una pellicola di Igor Biddau che illumina letteralmente la scena, visto che il tema portante è il confine tra la luce e l’ombra, più labile di quanto possa sembrare nella realtà, e che però da questo eterno dualismo è composta. Ogni cosa definibile appieno solo attraverso la propria negazione.
I temi di Sul Confine sono quelli della guerra, della giovinezza e della mortalità, in genere sempre inscindibili nella cinematografia moderna, dal Vietnam in poi. Guerra come orrore e morte, ma anche come esaltazione della vita, gioco per grandi, e degli irripetibili privilegi della giovinezza. Ognuno di quello che andranno al fronte ne sono segnati e, fisicamente o meno, non tornano più alla loro casa, o a quello che erano. Guerra in opposizione (o forse no) alla pace, nella sua quieta banalità di lavoro senza passione e ricerca di evasione costante.
Attraverso i volti e le parole dei protagonisti, Gabriele Di Luca (anche drammaturgo e autore del testo), Massimiliano Setti (anche autore delle musiche) e Alessandro Tedeschi, Igor Biddau utilizza sapientemente la luce come elemento visivo e letterale, fil rouge di una narrazione a volte realistica, a volte metaforica, a volte surreale.
Sul Confine fonde l’esperienza teatrale (molto evidente nella recitazione e in alcuni passaggi molto fisici e danzati che non possono non far pensare alla Scuola di Quelli di Grock, molto nota nel milanese, nonché nella simbologia spinta che cerca di non sprecare neanche un’istante del palcoscenico) e la cinematografia di guerra dagli anni ’80 in poi, su tutti forse la follia goliardica di Jarhead di Mendes e soprattutto la coralità ecologica de La Sottile Linea Rossa di Malick, di cui vengono recuperati le immagini di una natura placida e immemore, sempre illuminata perché sempre presente, in opposizione ai piccoli uomini che nascono, giocano, lavorano, combattono, uccidono e poi muoiono. Luce come vita, come anima, ma anche come scoppio di violenza. La nostra luce è presa in prestito e destinata a spegnersi, e per questo più preziosa: cosa farai della tua luce? Come la userai, prima che torni nel luogo da dove è venuta?
Fotografia accurata e musica estremamente evocativa e parte quantomai integrante dell’opera sono assolutamente le punte di diamante dell’opera, oltre ad alcuni immagini simboliche che sicuramente rimangono impresse per la loro originalità (su tutte le scarpe, metafora del nostro percorso e protezione dal mondo esterno – che si tolgono solo quando arrivati- ma anche richiamo-originalissimo- visivo di farfalle) ; molto buone le interpretazioni. Forse si poteva osare di più nella trasposizione dal teatro al cinema, anche se ci rendiamo conto che certe immagini – forse troppo didascaliche in un film- sono assi portanti nella rappresentazione teatrale; e nello scegliere un registro narrativo più uniforme complessivamente.
Ma tutto sommato, si tratta di problemi di abbondanza, che rimangono al di sotto della linea d’ombra di un’opera notevole per intenti ed idee. Avercene più spesso nel panorama italiano sarebbe un piacere.