Suburbicon – Un’America a pastelli rosso sangue

Suburbicon – Un’America a pastelli rosso sangue

Regia di George Clooney, alla sua seconda ambientazione negli anni ’50 dopo Good Night And Good Luck, forse la sua opera migliore.

Siamo a Suburbicon, 1958, immaginaria cittadina USA (probabilmente Midwest) che incarna il Sogno Americano patinato con colori pastello e schiere infinite di villette complete di giardino e auto parcheggiata davanti al garage. “Dove tutto è come sembra” recita il sottotitolo.

Ma qualcosa di orribile sta per succedere: una rapina andata male causa la morte della Signora Lodge; il marito Gardner ed il figlio Nicky cercano di rimettere in piedi la loro vita, supportati dalla cognata Margaret. Ma sotto quei colori pastello, le tinte sono più oscure di quello che sembra. Come non bastasse, accanto si sono trasferiti i Myers, una famiglia di colore, e il resto di Suburbicon non li vuole proprio. Tragedie stanno per succedere in questo Paradiso americano.

Sceneggiatura dei fratelli Coen, parzialmente riscritta dallo stesso Clooney, che però non interpreta nessuno dei ruoli; ne esce una via di mezzo tra la normalità dell’orrore di Fargo e il grand guignol grottesco di A Prova Di spia, con lo stile dei Coen molto in evidenza, meno quello del miglior Clooney secondo noi. Attori in forma e molto credibili, Matt Damon il padre di famiglia disposto a tutto (ci ricorda un po’ il Michael Douglas di Un Ordinario Giorno di Follia), Julianne Moore che si sdoppia nei personaggi (sempre all’altezza), e un ottimo cameo di Oscar Isaacs, che non sempre le azzecca, ma stavolta si. Sin dai titoli di testa, stile cinedocumentario di quel periodo, il film riprende benissimo le atmosfere degli anni ’50,  mai come in questi anni rimessi in discussione nella loro patinata falsità. E se in Good Night and Good Luck, Clooney ci raccontava una onestà di fondo forse ora perduta nella Libertà e nella Democrazia a stelle e strisce; qui in Suburbicon ci racconta di insanabili paradossi di una piccola borghesia eccessivamente materialista (vedi pure il recente The Founder sull’ascesa di McDonalds) e comunque molto più arretrata di una certa elite liberale, dove hanno vita facile i populismi negli ultimi 60 anni, con buona pace dei progressisti di New York e San Francisco. Non c’è salvezza nel finale, e forse neanche nell’attuale panorama politico statunitense.

A volte il film si perde un po’ nella doppia narrazione, quella del razzismo latente sembra poco sviluppata e tutto sommato superflua, se non in una breve scena dove l’ospite viene invitato a non aprire le tende quando si inizia a sentire la folla che ruggisce dall’altra parte della strada. 

È comunque un buon film questo di Clooney, meno incisivo di quanto avrebbe potuto rischiare, ma meno scontato di quanto avrebbe potuto essere. Non ci resta che attendere la sua candidatura  alla Presidenza dai Democratici. Di certo non sarà peggio di Reagan. VOTO:7/10 

CATEGORIES
TAGS
Share This

COMMENTS

Wordpress (0)
Disqus (0 )