Prisoners – Un Borghese (Americano) Piccolo Piccolo

Prisoners – Un Borghese (Americano) Piccolo Piccolo

Privo di un lancio in grande stile, questo film, lo diciamo subito, rischia di essere, a questo punto, il miglior thriller del 2013.

Diretto dal canadese semi-sconosciuto Denis Villeneuve, la trama ci porta nell’America rurale fatta di case di legno sul vialetto verde e del Giorno del Ringraziamento, ma anche di fucili e pistole in ogni casa, furori e sette religiose, alcol come ansiolitico, sparizioni di bambini all’ordine del giorno. Due bimbe scompaiono da casa: sarà il detective Loki (Jake Gyllenhaal) a prendere in carico il caso; e allo stesso tempo, i padri delle figlie (Hugh Jackman e Terrence Howard) prenderanno in mano la giustizia rapendo a loro volta il principale indiziato (Paul Dano), scarcerato perchè in assenza di prove concrete.  Dove si può arrivare per salvare i propri figli? È davvero giusto fare qualunque cosa, fino a dannare la propria anima?

Uno dei punti di forza del film è senz’altro lo sviluppo della trama, che ci porta sempre sul punto di prendere una decisione, salvo sconfessarci dieci minuti dopo: è colpevole, o no? E cosa significa quell’indizio? Senza mai peraltro essere scontato, ma con un avvertimento: mai perdere di vista un solo secondo del film dall’inizio. Notevole come il regista costruisca  un vero e proprio labirinto di ipotesi ed immagini, non casualmente, visto quanto sará ricorrente nel film quella stessa immagine.

Il che ci porta al secondo punto di forza, ovvero i protagonisti, un confronto tra due predatori… Il primo (Dover/Jackman) è il padre di famiglia disposto a tutto per riprendersi la sua bambina, delineato già all’inizio dove caccia insieme al figlio, la rappresentazione di questa America che sotto crocifissi appesi e tatuati, nasconde una ferocia in attesa di esplodere. E come arriverà a torturare il proprio prigioniero, solo parzialmente si giustifica con i fini estremi, lascia in realtà intravedere un lato “demoniaco” (come dirà alla fine uno dei personaggi) piuttosto a proprio agio col sangue… Quasi una riedizione in abiti civili del Wolverine portato sul grande schermo proprio da Jackman.

Ancora più “Wolverinesco” in realtá è il secondo protagonista (Loki/Gyllenhaal), anche lui, come l’altro, presentato in modo emblematico: solo al ristorante il Giorno del Ringraziamento, sotto questa pioggia torrenziale, un vero e e proprio lupo solitario, con istinti e fiuto prodigiosi, abbinati ad una testardaggine e una motivazione che lo spingono fino in fondo, ma che lo condannano all’isolamento dai propri colleghi. Alcune espressioni del suo spigoloso Loki, rinchiuso in queste sue camicie abbottonate e troppo strette (che in qualche modo evocano anche in lui qualcosa perennemente in attesa di esplodere), a volte apparentemente addormentato, ma sempre vigile, acuto e  pronto allo scatto, sembrano veramente prese da qualche grande felino selvatico. Da vedere e rivedere la scena finale, dove il regista risolve in modo imprevedibile tutto il film.

Intelligente e a volte scomodo (anche per la durata ed il ritmo sincopato non proprio da popcorn movie) Prisoners racchiude nel suo titolo una chiave di lettura ambivalente e per niente scontata nonostante la tematica tipicamente thriller USA del rapimento e che ne “ibrida” il senso finale, avvicinandolo a A History of Violence di Cronenberg o ad un filone italiano anni ’70 de Un Borghese Piccolo Piccolo di Monicelli o de Il Giocattolo di Montaldo. Sorprendente il film, promettente il regista. VOTO: 8/10

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