
The Mule: Il Corriere – Tempo di Raccolto per Lo Straniero Senza Nome
Non si da quanti anni ormai si dica “questo è probabilmente l’ultimo film di Clint Eastwood”: un po’ per l’età del vecchio Clint (sono quasi 90 ormai), un po’, forse, per esorcizzare l’inevitabile dipartita di quello che, nel bene o nel male, ha rappresentato uno dei capisaldi del cinema USA per 60 anni, sia come attore, ma soprattutto come regista.
Coincidenza: Robert Redford ha annunciato che Old Man & The Gun (anche qui la vera storia di un fuorilegge fuori tempo massimo) sarà il suo ultimo film, a differenza di Clint che però non ha annunciato nuovi progetti, che è singolare, visto la prolificità recente del regista di San Francisco, da fare invidia a Woody Allen. Non solo, proprio come Robert, Clint sceglie un film molto intimista, e poco politico (e meno male, ci verrebbe da dire, visti i suoi recenti schieramenti).
La trama è paradossale solo come la realtà sa esserlo, essendo basata sulla vera storia di tale Leo Sharp: Earl Stone, novantanne orticoltore in difficoltà sia lavorative che familiari, accetta di lavorare come corriere della droga per il Cartello di Sinaloa; e, nel giro di qualche mese, diverrà una vera leggenda con il nome di Tata, battendo ogni record di consegne. Come si può immaginare, finirà nell’unico modo in cui può finire questa storia.
Dicevamo: potrebbe essere l’ultimo film di Clint? Gli auguriamo di no, certo che Il Corriere sembra averne tutti i crismi, sia per la storia, che il messaggio, che i recenti avvenimenti nella storia personale di Eastwood. Nel 2018, peraltro, Clint ha perso quella che era la sua (ex)compagna spirituale e non solo, Sandra Locke (mai sposata), ed ha riconosciuto e ritrovato la figlia naturale Laurie dopo 64 anni dalla sua nascita. Non spoileriamo, ma ci sono evidentemente molti paralleli con la storia che ha voluto raccontare.
Il film conta anche su altri ottimi attori, tra cui Bradley Cooper, Michael Pena, Dianne Wiest, persino Andy Garcia e Clifton Collins jr. (oltre alla figlia -vera- Alison); ed è bella la fotografia con il pick-up di Earl che attraversa la sua America. Ma è un film semplice, molto lineare, e a dire la verità, decolla solo negli ultimi 20 minuti, quando il messaggio comincia ad essere più evidente: in fondo, tutta la storia serve a questi ultimi minuti. Ormai appare raramente nei suoi film, e quando lo fa, sembra farlo per lanciare un messaggio: ne Gli Spietati (1992), è un addio ad un mondo che non esiste più; in Gran Torino (2008), si fa da parte per la nuova generazione di Americani; qui, sembra quasi un ringraziamento ed una scusa ai suoi familiari, per essere stato meno presente di quanto abbia dovuto e potuto esserlo, ora che ha capito che la famiglia, e non il lavoro, seppur bellissimo (cinema nella realtà, fiori nel film – in entrambi i casi, lavori devoti alla ricerca della bellezza), siano la sua eredità. E il finale, che non anticipiamo, vede Clint/Earl con un cappello a larghe tese (da contadino stavolta, e non da cowboy) uscire letteralmente di scena dopo aver fatto la cosa che ama di più.
Ci ha ricordato le parole di un altro grande, Paul Newman, alla consegna del suo Oscar alla Carriera: “Siamo così spreconi con le nostre vite. Il trucco di vivere è entrare ed uscire da questo pianeta facendo meno casino possibile. Non voglio diventare santo, è che mi viene da pensare che nella vita abbiamo bisogno di essere un po’ contadini, che riseminano nel terreno parte di quello che hanno raccolto”
VOTO: 6,5/10