Mr. Holmes: Il Mistero del Caso Irrisolto – L’Ultimo Caso di Sherlock

Interessante come il titolo originale del film seguisse pedissequamente quello del libro di Mitch Cullin “un Impercettibile trucco della mente”. Interessante perché: 1. Forse si perde il vero succo del film, che prende le mosse dalle incredibili capacità di lettura dei dettagli del protagonista, l’arcinoto Sherlock Holmes; 2. Sottolinea con il prefisso, che si vuole scavare nel “vero” Sherlock Holmes, che , pur essendo un personaggio letterario, era un essere umano con i suoi limiti e i suoi difetti.

Bill Condon, dirige per la seconda volta il titanico Ian McKellen dopo Demoni e Dei  1998 (Oscar per la Miglior Sceneggiatura), oltre che la sua attrice prediletta Laura Linney (alla quarta collaborazione).

Il personaggio di Sherlock Holmes, che ormai è nato quasi 130 anni fa, sembra aver avuto un’interessante rinascita in questa decade, sia al cinema con la versione adrenalinica di Guy Ritchie (e Robert Downey Jr. mattatore), sia in ben due versioni TV, la trasposizione moderna con Jonny Lee Miller e quella più classica con Benedict Cumberbatch. Nessuno di questi, però, aveva avuto l’idea di far vedere uno Sherlock ormai 93enne, ritiratosi sul mare, solo, fragile ed amareggiato, e sull’orlo della perdita delle sue capacità mentali, suo vanto ed eccellenza. Due le cose che gli riempiono la vita: il rapporto col piccolo Roger, figlio della badante, al quale trasmette l’arte dell’apicoltura e dell’osservazione; e la sua ultima missione: cosa lo ha costretto ad abbandonare la sua carriera di investigatore 35 anni prima? Sembra persa in partenza la sua battaglia con l’Alzheimer, ma non desisterà, e sarà l’ultimo caso della sua vita.

Film British a tutti gli effetti, quindi grandissime interpretazioni, e buoni dialoghi seppur un po’ teatrali, storytelling però molto lento, e a tratti da fiction. Lo stile di Condon, qui è proverbiale, e tanti lo ameranno quanto lo odieranno. Che dire di McKellen? Ormai è un monumento,il suo volto è una maschera in grado di invecchiare e ringiovanire col semplice alzarsi di un sopracciglio, e ancor di più stupisce la sua capacità di comunicare attraverso il non detto. Le sue interazioni col piccolo Milo Parker (promettente talento in erba) e con la Linney (attrice di rara intelligenza e versatilità) sono il punto di forza del film, così come la rievocazione degli anni’40, semplice e pulita.

Dove probabilmente zoppica il film , paradossalmente per un prodotto UK per di più basato su un romanzo, è proprio la sceneggiatura: e se davvero struggente è l’epifania del vecchio Sherlock, che capisce come la logica e le fredde convenzioni siano una religione senza gioia, e una schiavitù priva di senso verso il nostro prossimo (quanto dolore inespresso quando afferma che ha perso Watson, senza neanche salutarlo), molto meno efficaci sono i flashback, sia quello dell’effettivo caso Kelmot (la sua ultima missione), sia quello del suo viaggio in Giappone, che davvero così come è presentato, appare davvero posticcio e con forse l’unica motivazione di preparare la scena finale. Molto più funzionale, invece, l’espediente di Holmes che si rivede al cinema, in una specie di prisma suo passato “bidimensionale”; e dismessi cappello da cacciatore e pipa, si spoglierà finalmente dei suoi pesi prima di risolvere il suo ultimo caso: quello della felicità perduta. Elementare, Watson: la vita viene prima. VOTO: 6,5/10

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