Margin Call – L’Intangibile Leggerezza del Male

Margin Call – L’Intangibile Leggerezza del Male

Promettentissimo esordio del regista J.C. Chandor, anche autore della sceneggiatura di questo financial thriller, che racconta le ultime ore di una grande banca di investimento prima della crisi finanziaria che sta ancora attanagliando le nazioni occidentali.

Tutto si svolge nell’arco di 48 ore: una ri-organizzazione che colpisce uno degli analisti senior (Stanley Tucci); il suo lavoro che passa al suo collaboratore (Zachary Quinto), che scopre la fine imminente; e via via vengono coinvolti il suo nuovo capo (Paul Bettany), quarantenne ormai cinico ed insensibile a tutto; il capo delle vendite (Kevin Spacey), come tutti ormai stritolato nella grande macchina dell’imbroglio e dell’illusione che è Wall Street; ed infine i burattinai, ovvero l’algido e ricco membro del board (Simon Baker) e il deus ex machina, il mefistofelico e potente Jeremy Irons.

Tutto finisce senza esplosioni, ma come una enorme bolla di sapone colorata, il mondo ignaro dell’inizio della fine. Questo è in sintesi l’analisi che fa il regista di Wall Street: un meccanismo che alimenta le illusioni e l’ingordigia delle persone, che non crea niente, ma semplicemente e ciclicamente arricchisce chi sa a spese di chi non sa. E anche quelli che ne hanno la consapevolezza, e magari ne riconoscono l’assoluta intangibilità del loro operato (bellissima la scena in cui Stanley Tucci snocciola i numeri dell’unico ponte che abbia realizzato come ingegnere civile, prima di farsi convincere a divenire un creatore di mostri finanziari) finiscono con l’accettare la provvisorietà di quello che fanno come una normale evenienza della vita, solo che alla fine sono loro che ci guadagnano, e finiscono sempre con il cadere in piedi, nonostante i disastri che creano.

Inevitabile il paragone con Wall Street di Oliver Stone, che ha in comune ovviamente lo stupore di come la cupidigia guidi talmente tanto le scelte dell’economia occidentale, da creare dei meccanismi autodistruttivi incomprensibili nella loro forma (tanto che ad eccezione degli ingegneri, nessuno dei dirigenti capisce minimamente quale sia il meccanismo matematico che governa i loro prodotti), ma che si ripetono con una frequenza tale dal 1600 ad oggi (e con una cadenza sempre più ravvicinata) che le persone (persino i piccoli risparmiatori) non possono non sapere a cosa stanno partecipando.

Cosa invece distingue i due film è l’assoluta ineluttabilità di Margin Call: non c’è nessuna via d’uscita, nessuna redenzione, neanche nella vita privata, è un consapevole scavare/scavarsi la fossa come rappresentante del genere umano. Il film finirà proprio con una brusca ed inaspettata scena finale…

Davvero un ottimo esordio per JD Chandor: supportato da un cast stellare (scena memorabile del film: la riunione in cui il capo dei capi, Jeremy Irons, conduce una riunione in piena notte, trasudando potere e timore, quasi un blasfemo sabba finanziario, lui simbolico demone evocato ed arrivato in elicottero dai suoi adepti…), il film racconta di un risveglio: la notte lisergica in cui il giovane analista apre gli occhi (ma finirà con l’entrare nei meccanismi delGrande Gioco) e attraversa la città in cerca di risposte; ed il giorno successivo in cui il Grande Male viene trasmesso al resto del mondo, quasi sempre consapevole di cosa stia succedendo, ma comunque disponibile a farselo fare.

Film di gran classe e veramente ben scritto ed articolato. Da vedere. VOTO: 8/10

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