
Logan: The Wolverine – Vecchi Mutanti e Nuove Speranze
Ogni storia arriva alla fine, e questa è quella degli X-Men sul grande schermo. Fu un loro film, diretto da Brian Synger e datato 2000 a dare vita al nuovo filone dei cinefumetti, dopo che il Batman degli anni’90 (quello “camp” di Joel Shumacher per intenderci) lo aveva affossato.
Già allora, uno dei personaggi più iconici dell’universo mutante (se non il più iconico), Wolverine, fu interpretato da un giovane attore australiano semi-sconosciuto, ovvero Hugh Jackman, e lo interpretò talmente bene, da rendere l’aspetto fisico del cartoon della Marvel ri-modellato graduatamente su di lui, cosa più unica che rara.
A 17 anni di distanza, sempre lui Hugh Jackman, stavolta però un anziano e malato Wolverine (e ora privo della sua tradizionale chioma biforcuta), in un futuro prossimo, ormai noto come Logan ai più, e James per quelli che lo chiamano amico, che sono solo due, gli ultimi mutanti sul pianeta, ovvero il novantenne Charles Xavier, telepate ed ex leader degli X-Men, e l’abino Caliban, capace di rintracciare i suoi simili. Ma sono davvero rimasti solo loro? L’arrivo di una piccola ribelle, Laura, dotata di poteri per tutto simili a quelli del mutante artigliato, inseguita da un pericoloso gruppo di cyborg capitanati da Donald Pierce, rimette tutto in questione… Esiste forse un Eden di nuovi mutanti in Nord Dakota? Inizia il viaggio per 3 di loro: il patriarca, l’ultimo alfiere del vecchio mondo, e quella che potrebbe essere la prima erede di quello nuovo.
Questo Logan è, come dicevamo prima, l’ultima apparizione degli X-Men, almeno come ce li immaginiamo adesso, visto che sia Jackman che Stewart (Professor X) hanno annunciato che non re-interpreteranno i loro rispettivi mutanti, ed è la conclusione ideale di 3 trilogie di cui due dedicate agli X-Men ed una a Wolverine stesso (alle quali aggiungiamo anche Deadpool, del 2016).
E si tratta di un finale decisamente cupo, decisamente cruento, ispirato agli episodi più crudi del Wolverine di carta, ma anche con momenti di tenerezza insperati ed una sfumatura di speranza che alla fine arriva… Le atmosfere sono quelle di un western di redenzione (non casuale la citazione nel film de Il Cavaliere della Valla Solitaria) e di Gran Torino di Eastwood, con un Jackman che mai come in questo caso ha una somiglianza decisamente marcata col vecchio Clint. Ottimo davvero il lavoro del regista James Mangold, che dopo aver recuperato il personaggio nel secondo episodio della trilogia (dopo un primo piuttosto mediocre), sforna qui forse il Wolverine più azzeccato in 17 anni di apparizioni, di cui coglie la valenza metaforica che lo ha sempre contraddistinto: l’eterno senso di inadeguatezza a coloro che gli vogliono bene e gli stanno vicino, che ne fanno un reietto in mezzo ai reietti. Violento e tenerissimo in questo episodio, finalmente figlio e finalmente padre proprio all’ultimo, parte di una famiglia come mai ha pensato di meritare.
Il film è bello, immagini plumbee che avranno anche una versione in bianco e nero almeno in dvd (come ha anticipato Mangold) e musiche country perfette per inquadrare le atmosfere. Forse solo X-Men: Giorni di Un Futuro Passato gli è superiore nel mondo dei Mutanti sullo schermo, e tutto sommato, è giusto che questa generazione di X-Men si congedi così, lasciando spazio alla prossima (spoiler?). Definitivo. VOTO: 8/10