Lei – L’Amore ai Tempi dell’Intelligenza Artificiale

Lei – L’Amore ai Tempi dell’Intelligenza Artificiale

Uno dei registi certamente più originali degli ultimi quindici anni, Spike Jonze ci ha abituati a commedie molto cerebrali e che travalicano il confine del reale e dell’immaginario. Ed anche stavolta è cosi: siamo nel futuro prossimo immediato, una Los Angeles molto simile all’attuale, ma dove le persone ormai vivono con sistemi operativi intelligenti, che in pratica gestiscono la loro vita. Non fa eccezione Theodore, scrittore di lettere d’amore per conto terzi, separato da un anno e che si innamora niente poco di meno che del proprio sistema operativo, Samantha. “Lei” racconta della loro relazione, gli inizi timidi, la passione, la routine…

Idea molto interessante (infatti, ha visto l’Oscar per Miglior Sceneggiatura Originale), anche perché, mentre osserviamo persone che si muovono guardando il loro cellulare, o seguiamo le peripezie amorose virtuali (con una persona che non esiste fisicamente) di Theodore, non possiamo non sorridere (o accigliarci, dipende dal vostro stato d’animo) a come tutto ciò sia in realtà molto più vicino di quanto possa sembrare viste le basi surreali di questa storia. Quante persone ormai iniziano una storia via chat e la proseguono per anni? Non era qualcosa di impensabile 30 anni fa? Davvero manca così tanto alla virtualizzazione di rapporti in un mondo dove siamo sempre più connessi e sempre più impauriti e soli?

Jonze si conferma autore molto originale, e per niente commerciale… molto fine come dall’assurdo iniziale, ci trasporta in un mondo così simile al nostro, senza che di fatto ci accorgiamo del cambio, al di là della tecnologia e del vestiario delle persone (pantaloni ascellari, camicie sformate e scarpe ortopediche: sembra che nel futuro trionferanno i fondi di magazzino di Muji… persino Amy Adams sembra un fagotto, mica come l’avevamo vista in American Hustler, per intenderci).  Ed è molto bello come alla fine l’amore, come atto del dare, del fare, dell’accompagnare, dell’evolversi (e non del pensare) trasformi Theodore, che riuscirà a produrre la sua lettera più bella, nel momento più importante della sua vita.

Qual è il problema allora? Semplice: non c’è abbastanza sostanza per un lungometraggio di più di 2 ore; anzi, già dopo la prima ora si capisce dove e come finirà… tanto è imperfetta la relazione tra umani (all’inizio la chat con una sconosciuta – che gli attacca in faccia dopo l’orgasmo!- e poi l’appuntamento con la strepitosa, ma umorale, amica dell’amica), quanto è perfetta quella con un’intelligenza artificiale: è una bella idea, ma alzi la mano chi non ha capito cosa succederà quando Samantha si evolverà ulteriormente. Un film che peraltro vede Joaquin Phoenix in campo dall’inizio alla fine e, sebbene non sfiguri, non è un Jim Carrey o un Philip Seymour Hoffman che riescono a raccontare una storia solo con la loro faccia. Appare in realtà, perennemente inebetito (come dovrebbe peraltro essere chi passa la vita davanti ad uno schermo di realtà virtuale) e non sempre credibilissimo. Purtroppo, poi, la voce di Micaela Ramazzotti (Scarlett Johansson nell’originale) non è particolarmente espressiva, anzi è piuttosto monocorde e un po’ miagolante (e forse il leggero accento romano in qua e là infastidisce in un film di dizioni perfette).

Sintesi: non sempre una bella idea diventa un bel film. VOTO: 6/10

CATEGORIES
Share This

COMMENTS

Wordpress (0)
Disqus (0 )