La Forma Dell’Acqua – Amore Liquido ed Altre Storie

Vincitore del Leone d’Oro a Venezia, caso più unico che raro per quello che potrebbe essere a tutti gli effetti classificato come un film di fantascienza. Guilliermo del Toro, invece, è sicuramente uno dei registi che negli ultimi 25 anni ha lasciato un segno estetico perfettamente riconoscibile, quasi da realismo magico applicato al cinema, da Il Labirinto del Fauno (2006), forse il suo capolavoro, ad altri lavori più mainstream ma sempre ricchi di stile visivo come HellBoy (2004) e Pacific Rim (2013).

Con la Forma dell’Acqua, il buon Guillermo riesce nell’impresa di portare sullo schermo uno dei suoi film preferiti, ovvero la creatura (pressochè identica) de Il Mostro Della Laguna Nera del 1954; ma in un film con connotazioni più romantiche e anche sociali: Elisa Esposito (nome non casuale, si tratta di un’orfana) è un’inserviente muta all’inizio degli anni ’60 in un laboratorio segreto del governo, e all’interno di esso si studiano molte creature strane, tra cui l’ultimo arrivato, una curiosa creatura anfibia dagli artigli affilati, ma anche (come scopriranno) dagli incredibili poteri. Insieme alla sua amica di colore Zelda, al disegnatore gay Giles e all’insospettabile scienziato/spia russa Dimitri, riusciranno a rapirlo dalle grinfie dei crudeli militari di Strickland, che vogliono vivisezionarlo. A questo si aggiunge che Elisa e la creatura inaspettatamente si innamorano.

Fantascienza si, ma decisamente colta: tanti i riferimenti e i rimandi ad un’epoca piena di fermenti sociali, ma in cui la diversità è ampiamente e pubblicamente disprezzata, sia quella del colore della pelle, che degli orientamenti sessuali, che delle menomazioni fisiche, ma anche semplicemente tra uomini e donne. Visivamente, Del Toro peraltro riesce perfettamente a integrare il look di quegli anni con il realismo di una fantascienza “vintage” (vedi i macchinari e la creatura stessa, che comunque, è una meraviglia). E c’è una vena profondamente nostalgica nei film e nei balli degli anni 30  e 40 che vengono spesso mostrati sullo schermo (grande o piccolo che sia); fino a quello immaginario tra Elisa e la creatura che richiama molto La Bella e la Bestia, di cui, in ultima istanza, questo film è una versione per adulti, con un messaggio profondo: la diversità genera paura, ma l’amore è più forte di ogni apparente diversità. Alla fine la muta Elisa, che ha curiosamente dei segni sul collo come fossero branchie, comprenderà l’umanità del Mostro.

Bravissimi su tutti Sally Hawkins e il cattivo Michael Shannon, così come Richard Jenkins; e il film vincerà quasi sicuramente l’Oscar per la Fotografia. A volte, però si è voluto un po’ esasperare il messaggio metaforico della visione sociale di Del Toro, dove evidentemente sono le donne (le “diverse” originali) ad avere un ruolo di pioniere evolutive della cultura degli uomini, sono loro ad “Integrare” le nuove razze in una nuova società grazie al loro innato “amore” verso il diverso (e verso i nuovi maschi). Un’equazione dove “diverso” equivale sempre a “positivo”, e dove evidentemente è necessario creare una “bolla” di acqua, all’interno dell’asciutto della cultura dominante.

Il film è decisamente una favola per adulti intrisa di realismo magico come dicevamo, e come tale va vista in un concetto di “sospensione del giudizio”, più che un pamphlet sociale, così come il finale (splendido) rimane sospeso a sua volta, come particelle solide all’interno dell’acqua (similitudine non casuale). 

Come si domandava una storia del folklore dei nativi d’America: “e anche se il pesce e l’uccello si amassero, dove potrebbero mai amarsi il pesce e l’uccello?” VOTO: 7,5/10

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