Jersey Boys – C’erano una volta le Boy Band…

Jersey Boys – C’erano una volta le Boy Band…

Ultima fatica dell’ormai mitologico Clint Eastwood, Jersey Boys è tratto da un musical di successo, a sua volta basato sulla storia di Frank Valli ed i Four Seasons, boy band ante-litteram a cavallo tra gli anni 50 e 70… I nostri eroi, Frankie, Tommy, Nicky e Bobby, italoamericani pasta-e-fasul e brillantina che partono dal New Jersey, iniziano i primi concerti in sagre, ristoranti e sale da bowling, firmano il loro primo contatto e poi inanellano una serie di hit che ne fanno il gruppo pop americano più di successo prima dell’arrivo della British Invasion con Beatles, Rolling Stones, ecc… con il culmine della hit “Can’take my eyes off of you”, una delle canzoni più interpretate nella storia del pop (una delle scene più belle del film, peraltro).

Pur non essendo nuovo al genere musicale (vedi Bird o The Honky Tonk Man, ma in genere lo score musicale ne è sempre stato un punto di forza come ne Gli Spietati o Gran Torino), il buon Clint, lungi dall’andare in pensione, si cimenta con un genere per lui inusuale, e per tanti versi ci spiazza con una pellicola piuttosto estiva e leggera per i suoi standard degli ultimi vent’anni. Pur non essendo particolarmente originale, risulta comunque interessante la commistione di genere, una via di mezzo tra Grease (i cui titoli di testa sono cantati da Frankie Valli, ovvero il solista dei Four Seasons!) e Quei Bravi Ragazzi (dove –piccola curiosità-  Joe Pesci, interpreta Tommy De Vito, stesso nome di uno dei Four Seasons, e peraltro suo amico di infanzia!). Da notare come i Four Seasons siano stati veri e propri precursori di genere, sia come scelte musicali (il falsetto di Frankie Valli –col grande contributo vocale di John Lloyd Young- ed il contrappunto degli altri 3 non potrà non ricordare i Beach Boys, che arriveranno qualche anno dopo) che come stile di performance (vedere per credere i balletti ed i numeri sul palcoscenico, apripista per tutte le boyband dei 50 anni successivi!).

Scorrevole e piacevole (ben 2h15, ma senza fatica), il film ha ottime musiche e buone interpretazioni (peraltro la maggior parte degli attori, ha cantato e ballato nel musical a teatro; eccezione è il guascone Vincent Piazza, evidentemente chiamato per apportare peso specifico agli altri 3 componenti del gruppo, comunque apprezzabili anche a livello recitativo; e menzione speciale per il produttore gay interpretato da Michael Doyle ed il sempiterno “padrino” Christopher Walken); ma, curiosamente per Eastwood, Jersey Boys è carente nello sviluppo della trama che sceglie di non discostarsi troppo dalle atmosfere di Broadway e da alcune scelte narrative (un esempio per tutti: a turno, i protagonisti parlano fuori campo verso lo spettatore, ma sembrano momenti piuttosto forzati), che oltre ad impoverire una versione da grande schermo, lasciano un senso di superficiale e mai approfondito, anche perché i rivoli che affioravano nella storia dei 4 ragazzi sono molti e raramente fatti maturare. Rimangono alcune scene notevoli (bellissimo come il Brill Building, mitico palazzo dei produttori musicali anni 50-60, viene raffigurato scalandolo da fuori e lasciando intravedere in ogni finestra uno stile ed un genere nuovo… espressione di energia artistica di quegli anni così densi ed innovativi) e la voglia di battere le mani a tempo su quanto avviene nello schermo, con un grande finale in stile Bolliwood che non potrà non strappare un sorriso… e che poi si schiude in un’immagine finale amarognola (qui c’è il tocco del regista) di 4 ragazzi imbrillantinati che cantano a cappella sotto un lampione, l’essenza dei privilegi della gioventù e di un’epoca irripetibile.

In definitiva? Canterino, simpatico, qualche sprazzo di luce, prevedibile… Grande coraggio da parte di Clint nel girare Jersey Boys, ma un film minore nella sua cinematografia. VOTO: 6,5/10

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