
J. Edgar – La Solitudine del Potere
Qualche anno fa Robert DeNiro ci presentò il creatore della CIA ne L’Ombra del Potere, stavolta tocca a Clint Eastwood regalarci il biopic del creatore del FBI, John Edgar Hoover.
Hoover è stata una figura controversa nel panorama storico e politico statunitense: un personaggio con una concezione moderna della polizia, che innovò profondamente ed in modo intelligente il modo in cui l’informazione veniva centralizzata (laddove prima di lui ogni stato dell’Unione agiva per conto proprio) ed indagata ed analizzata in modo scientifico (l’uso delle impronte digitali e la ricreazione in laboratorio della causalità del reato sono sue intuizioni), tuttavia non fu immune a molte derivazioni liberticide dello stesso ruolo (come nei rapporti con il movimento di Martin Luther King), all’uso strumentale di prove raccolte illecitamente (suoi gli archivi di dossier sui personaggi politici e pubblici e sue le prime intercettazioni “ad orologeria” da usare come forma di ricatto), nonché all’uso a fini coercitivi del potere di polizia.
Eastwood racconta dunque la parabola del fondatore del FBI, da giovane tenace e volitivo, a neo-direttore entusiasta ed energico che cattura Dillinger e vari gangster negli anni ’20 e ’30 e risolve con tenacia e dedizione assoluta il rapimento Lindbergh, a consolidato e solitario padrone del suo potente giocattolo per quasi 50 anni, fino al 1972, anno della sua morte. Pur delineando bene questa parabola di uomo di potere, Eastwood concentra però il proprio obiettivo sulla vita personale di Hoover, facendo raffigurare a Leonardo Di Caprio (ottimo, ma sarà sufficiente per l’oscar?) un uomo maniacale, astuto, fragile, tormentato e dai difficili rapporti interpersonali: un padre che soffrì di demenza negli ultimi anni di vita, e di fatto assente; una madre (Judi Dench, strepitosa) di contro forte ed altamente influente, che amava e lo amava in modo assoluto, che lo aiuta a superare la balbuzie, lo sostiene nei momenti di dubbio, tuttavia ne soffoca l’omosessualità fino a renderlo un infelice; un’assistente leale (Naomi Watts, sempre molto intensa), unica amica ed unica donna con cui si sentisse a proprio agio, e che seppellirà con lui il suo famigerato archivio, quando arriverà il momento; ed il fedele amico e braccio destro Tolson (Armie Hammer), legato a lui da un affetto che va al di là dell’amicizia, ma che non sarà mai reso pubblico, e relegato in una specie di limbo privato, in cui Hoover e Tolson vivranno per più di cinquant’anni.
Il film si presenta ricco di aneddoti e sfaccettature, come il vero motivo per cui John Hoover divenne J.Edgar Hoover, la passione per i fumetti ed i film polizieschi, l’avversione per il ballo, ed il desiderio di essere amato dal Paese che lui amava così tanto da sacrificare la propria vita personale… l’immagine ricorrente di lui che si affaccia dal proprio ufficio di Washington DC alle parate di insediamento dei vari Presidenti (ne vedrà ben sette), una specie di Papa laico che benedice il nuovo Cesare, ma senza esser corrisposto da nessuna folla di fedeli, almeno non suoi, ne è forse l’immagine iconica.
Eastwood, in un film che non passerà alla storia per il suo migliore, ci consegna dunque l’immagine di un uomo solo ed assoluto, preferendo indagarne luci ed ombre personali, rispetto all’aspetto storico, che pur ben fatto, risulta un po’ troppo lineare e tutto sommato prevedibile. Nota di merito per la musica, come sempre un punto di forza nei film del buon Clint, un po’ meno il trucco un po’ posticcio per invecchiare i personaggi principali (soprattutto Armie Hammer sembra un po’ fuori luogo). In definitiva: Clint è sempre Clint, ma forse è lecito aspettarsi qualcosa di più. VOTO: 7/10