Il Filo Nascosto – Il Tessuto di cui Sono Fatte le Ossessioni
L’ultima volta che il regista Paul Thomas Anderson e Daniel Day Lewis avevano lavorato assieme, fu un capolavoro, Il Petroliere (2002) con tanto di Oscar per l’attore anglo-irlandese. Se ci aggiungiamo che questo film è per sua stessa dichiarazione, la sua ultima performance prima del ritiro (a soli 61 anni), si può capire quanto l’uscita de Il Filo Nascosto sia stato un evento.
Ispirato vagamente alla vita dello stilista Cristobal Balenciaga, il film narra della relazione problematica del couturier Reynolds Woodcock e della sua musa e compagna Alma nella Londra degli anni ’50. La vita dello stilista è ossessionata dal suo lavoro che domina ogni suo aspetto e ne determina un approccio quasi monastico, basato su routine maniacali: è la sorella Cyril, che ne cura il business e ogni altra necessità sociale (tra cui lo sbarazzarsi delle fidanzate ormai a fine relazione), Quest’ordone viene proprio sconvolto dall’arrivo della sua nuova fiamma, la cameriera Alma, di una trentina di anni più giovane di lui che lo conquisterà imparando a memoria una comanda complicatissima e poi entrerà sempre più in profondità nella sua vita, prima assecondando ogni suo capriccio, poi determinandolo.
Algido e chirurgico come un film di Hitchcock, Anderson ci propone una Londra plumbea è infreddolita, quasi una metafora della vita di Reynolds tra tessuti, disegni e abitudini ferree, non casualmente scaldata dall’arrivo di un’Alma (ovvero un Anima); e la storia di un’ossessione che alla fine diventa quella di due ossessioni.
Daniel Day Lewis naturalmente sfodera un’altra grande prestazione: purtroppo per lui, lo fa in un film che ha riscosso molto successo di critica, ma che a noi è parso molto noioso, a tratti mortifero. L’inizio è promettente, con l’accenno (lo stesso nel titolo), alle cuciture segrete di Reynolds (tra cui i capelli della propria madre, vero e proprio convitato di pietra della storia, che poi apparirà come un fantasma nei deliri febbricitanti di lui – peraltro, scena un po’ ridicola). Tutto sembrerebbe puntare a un thriller psicologico o perlomeno a un dramma dai risvolti gotici, alla Edgar Allan Poe: invece alla fine si risolve tutto in una scena che per quanto sorprendente non salva il film. Intendiamoci, la maggior parte delle scene è esteticamente impeccabile (splendide le sequenze della sarte che ritagliano il vestito nuziale della principessa belga), ma la verità è che il film è veramente poco interessante, e troppo lungo per ridursi a così poco: ci ha ricordato il Match Point di Woody Allen, un film costruito su un unico climax.
Altro problema: la protagonista, Vicky Krieps, lussemburghese e anonima all’ennesima potenza come suggerirebbero le sue origini. Certo il film non aiuta, ma lei ci mette tanto del suo. Invece, è brava Lesley Manville nella parte della enigmatica ma coriacea sorella di lui Cecyl.
Anderson si conferma un regista discontinuo come pochi: ha sfornato capolavori come Boogie Nights, Magnolia e Il Petroliere, film così così come The Master e proprio bruttini come Ubriaco d’Amore, Vizio di Forma e questo suo ultimo lavoro, appunto. Ci spiace per Day Lewis, se questo è davvero il suo ultimo film: rischia di uscire di scena come Zidane dal mondo del calcio, ovvero una grande carriera con una pessima ultima immagine, e pazienza se almeno nel suo caso non è stata colpa sua. Ci auguriamo un ripensamento. VOTO: 5/10