Il Caso Spotlight – Un Caso da Oscar?

Il Caso Spotlight – Un Caso da Oscar?

Vincitore del recentissimo Premio Oscar 2016, dunque al centro della ribalta e dei riflettori, come giustamente sarebbe la traduzione di “Spotlight”, che è anche il titolo originale del film. Iniziamo subito col dire che stona moltissimo nel titolo italiano “Il Caso” messo prima di Spotlight: non è nessun “caso”, ma è invece il team investigativo del Boston Globe su cui ruota la storia. Solo l’ultimo esempio di come i titoli in Italia siano davvero scelti a casaccio.

In realtà “il Caso” riguarda i ripetuti, storici, sistematici e criminali tentativi della Chiesa Cattolica, in particolare quella USA e di Boston (patria ufficiosa dei cattolicissimi discendenti degli Irlandesi immigrati nel 19° secolo oltremare), di coprire gli abusi di decine, se non centinaia, di preti, nei confronti di bambini delle loro diocesi. Vero e proprio “sistema” scoperto nel 2001 da un’inchiesta giornalistica USA, che, partendo da un caso, finisce con lo scoperchiare il proverbiale vaso di pandora.

Il team di Spotlight, guidato da Walter Robinson (Michael Keaton), dovrà farne parecchia di fatica, perché l’intera comunità di Boston, politici e polizia inclusi, si oppongono in modo strisciante ma implacabile, ed anche la magistratura ed il sistema giudiziale sembrano chiudere un occhio, e persino i giornalisti locali, tanto che ci vorrà un nuovo editore ebreo e da Miami (Liev Schreiber) a spingere Robinson ed i suoi a non fermarsi alle prime “mele marce”, ma ad andare fino in fondo.

Film accuratissimo da un punto di vista della ricostruzione storica della cronaca e dei fatti (tanto è vero che il film fa riferimento al crollo delle Torri Gemelle), ed anche le ambientazioni ed i costumi sono assolutamente fedeli a quella quindicina di anni fa (gli abiti e le scarpe hanno un curioso effetto “sformato” a riguardarli oggi); e ci sarebbe da dire che più che un film sulla pedofilia, dove in effetti se ne fa poco riferimento se non in poche interviste sostenute con le vittime; è un film sul giornalismo, un (ottima) versione aggiornata del capolavoro di Lumet, Tutti Gli Uomini Del Presidente, che quest’anno compie 40 anni. Davvero interessante (e appassionante) come viene effettuata la ricostruzione, la ricerca delle fonti, la ricerca dei collegamenti, nonché come sia ben delineata l’etica del mestiere di giornalista. Questo anche grazie alle performance dei vari Michael Keaton (impressionante come sia rinato dopo Birdman), Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Liev Schreiber, ai quali aggiungiamo Stanley Tucci, nella parte dell’avvocato che forse pronuncia la frase più emblematica del film: “ci vuole una comunità per educare un bambino, così come ci vuole una comunità per abusarne”.

Lungi dall’essere un film sensazionalista (e avrebbe potuto esserlo, vista la tematica), la scelta è quella di appoggiarsi esclusivamente alla fattualità del racconto, e lasciare che sia la pura verità delle parole e dei numeri a raggiungere lo spettatore. Quasi un docufilm, ci sarebbe da dire, tanto che la stessa Chiesa Cattolica, pur non promuovendone la visione (tanto che, diciamoci la verità, in Italia è arrivato praticamente a fari spenti, e probabilmente sarà stato lo stesso in molti altri Paesi), ne ha pubblicamente apprezzato la sobrietà, segno che i tempi siano cambiati rispetto a L’Ultima Tentazione di Cristo o anche al Codice Da Vinci.

Capolavoro? No. Film molto stimolante, pulito, piacevole, tradizionale, anche istruttivo. Certo 40 anni dopo Tutti Gli Uomini Del Presidente forse ci saremmo aspettati un taglio registico diverso (ma Tom MCCarthy non sembra un grande innovatore, suo curriculum alla mano), ma di certo il coraggio c’è stato tutto, e quello sì che è da Oscar. Migliore comunque di almeno un paio di concorrenti ben più pubblicizzati. Suggerimento finale: non lasciatevi sfuggire nei titoli di coda la lista dei Paesi a cui si è allargata l’inchiesta. Indovinate chi manca? VOTO: 7,5/10 

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