
Gravity – L’Insostenibile Gravità dell’Essere
Alfonso Cuaron, regista messicano già noto per I Figli Degli Uomini, dirige uno dei film più attesi della stagione, e ci illustra un thriller quasi metafisico con Gravity. Ryan Stone (Sandra Bullock), in seguito ad un pauroso incidente nello spazio, rimane l’unica superstite di una missione di manutenzione di un satellite, e dovrá dare fondo a tutte le proprie risorse nel tentativo di salvarsi…
La trama in effetti può sembrare semplice, e lo è, ma è decisamente ambizioso il progetto minimalista e allo stesso tempo spettacolare del regista di descrivere l’odissea di una persona normale in circostanze fuori dal comune. Spesso la visuale (in un 3D davvero al servizio della storia, come raramente è capitato) è la claustrofobica e meravigliata vista dal visore dell’astronauta, spesso sbattuto in qua e lá nel vuoto cosmico.
Al di là del thriller (certamente ben fatto), Gravity racconta del perdersi e del ritrovarsi di una persona attraverso il “lasciar andare” ciò che ci appesantisce (la Gravità del titolo): e per quanto sia piacevole crogiolarsi in un passato sempre migliore del presente (almeno nei nostri ricordi), niente può impedirci di vivere, o tornare a vivere, appieno, se non le nostre convinzioni. Anche per una madre che ha perso una figlia, come nel caso della protagonista.
Lo spazio ben si presta alla metafora dell’isolamento dell’ anima di Ryan, disconnessa da cosa la circonda, come protezione non solo da ciò che ci ferisce, ma dalla vita stessa. Quando deciderà di essere pronta, arriva il suo maestro fuori e dentro di sé (ovvero, il compagno di missione Kowalski, un George Clooney davvero incisivo, impressionante il suo percorso di maturità artistica), e tutto l’universo sará pronto a riportarla a casa.
Dicevamo molto ispirate le immagini; e centellinata per tutti i motivi giusti la musica; e brava la Bullock, nel suo ruolo di eroina spaziale che non potrá non ricordare la Ripley in canotta e slip di Alien; ma tutto il film rimane sospeso tra l’ispirato e l’inquietante, e in qualche modo attinge al respiro di 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick, con questo sguardo perennemente perso e teso all’infinito,il senso della meraviglia di esseri umani che si perdono nelle stelle, e che alla fine rinascono emergendo dalle acque approdando su una terraferma di primordiale bellezza (a differenze di Kubrick, dove le scene sulla terra -protagonisti i nostri scimmieschi antenati- erano poste nel prologo). E infine un messaggio nascosto nell’immagine della protagonista, statunitense in una tuta russa ed in un modulo cinese: per salvarci, contro forze universali che conosciamo appena e che potrebbero spazzarci via (in un futuro sempre meno lontano) o se ne esce assieme o l’estinzione del genere umano è inevitabile.
Forse non il capolavoro che è stato osannato ovunque, ma di certo non deludente e ottimamente costruito. Intimo, maestoso e infinito come una notte stellata. VOTO: 7,5/10