Gli Spiriti dell’Isola – Com’era Verde la Mia Solitudine

Il pastore Padraic (Colin Farrell) trascorre la sua vita pacifica e serena sull’Isola (immaginaria) di Inisherin negli anni ‘20, al largo delle coste irlandesi, proprio mentre nell’Isola principale infuria la Guerra Civile. Un bel (brutto) giorno il suo miglior amico, il violinista Colm (Brendan Gleeson) decide di non rivolgergli più la parola. Inizialmente sembra uno scherzo (peraltro è il 1° Aprile), ma no, addirittura Colm lo minaccia di tagliarsi un dito.

Il film di Martin McDonagh, regista del bellissimo 3 Manifesti ad Ebbing, Missouri, ci racconta proprio dei tentativi sempre più delusi del buon Padraic di capire e riappacificarsi con il suo amico. A fargli da supporto la sorella Siobhan, l’amico Dominic, e i suoi animali, tra cui l’adorata asinella Jenny, nella cornice di un’Irlanda verde e brumosa come ce la immaginiamo noi mediterranei.

E’ un film per niente facile questo: a differenza di Manifesti, un dramma con alcune sfumature di commedia, Gli Spiriti dell’Isola è una commedia che sfocia piano piano nel dramma e di stampo teatrale (tanto che originariamente fa parte di un trittico di pièce ciascuna dedicata alle 3 Isole di Aran, scritta dallo stesso McDonagh, ma poi mai portata sul palco). Tante le situazioni divertenti, ma allo stesso tempo, non si ride mai veramente, c’è sempre qualcosa di amarognolo e di mai spiegato. È un film che parla di tante cose, non ultimo, nelle intenzioni forse del regista e sceneggiatore, una metafora della Guerra Civile in Irlanda (e forse di quello tra Russia ed Ucraina?), tanto che Inisherin (e non Inisheer, che effettivamente è un’isola di Aran), significa “Isola di Irlanda” in gaelico, storia di un conflitto creato dalla Gran Bretagna ad arte tra fratelli, e mai veramente comprensibile fino in fondo, in cui religione e politica crearono schieramenti e faide senza inizio e senza fine.

Il microcosmo di Inisherin, dove l’anziana signora McCormick è il simbolico (neanche tanto sottinteso) spirito dell’isola (il Banshee del titolo originale e che, nella tradizione irlandese, preannuncia morti in famiglia), rappresenta una storia di solitudini, ognuno con il suo destino e le proprie soluzioni, che sia il dedicarsi agli animali, la lettura, la musica, l’alcol, e allo stesso tempo, come avrebbe detto il nostro Antonioni, di incomunicabilità crescente tra gli esseri umani. Conflitti che nascono magari senza uno scoppio, senza una vera e propria esplosione, ma quasi una deriva che allontana le persone, spesso definitivamente, come un percorso più o meno inevitabile di crescita e la mancata accettazione di questo da parte dell’altro.

In tutto questo, il film può contare su grandi interpreti irlandesi, e sulla reunion tra Gleeson e Farrell dai tempi di In Bruges; ma se Gleeson non è certo una scoperta, Farrell, con il suo Padraic così semplice e così sperduto, ci stupisce sempre di più per la sua progressiva maturazione attoriale, ci ricorda un po’ il percorso di Brad Pitt che parte come divo da film di cassetta per poi trovare la sua strada; e molto bravi Barry Keoghan nella parte del ragazzo problematico e Kerry Condon, la sorella di Padraic che sarà l’unica capace di affrontare in modo decisivo il suo stato di malessere.

Non al livello di Manifesti, ma di certo un film che lascia molto su cui riflettere. VOTO: 7,5/10

 

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