Dietro I Candelabri – Una Vita Esagerata

Dietro I Candelabri – Una Vita Esagerata

Personaggio non particolarmente noto in Italia, Walter “Lee” Liberace è stato un pianista e performer enormemente famoso negli USA per un periodo che va dagli anni 30 agli anni 80; talento incredibile, e uno stile di vita palesemente  (almeno nel look) gay in un Paese dove l’outing è tuttora la tomba professionale per molti artisti. In effetti, Liberace muore di AIDS nel 1987, una delle prime star USA colpite dal siero HIV, cosa che fu peraltro negata fin dopo la sua morte dai suoi legali per molto tempo.

Steven Soderbergh alla regia, Dietro I Candelabri racconta della relazione di Liberace (interpretato da Michael Douglas) con Scott Thorson (Matt Damon) di 40 anni più giovane di lui, assunto per fargli da segretario, guardia del corpo, confidente, ed ovviamente amante.

Che dire di questo biopic? Se “eccessivo” era l’obiettivo che si era posto Soderbergh, allora c’è da dire che la sua opera lo ha senz’altro raggiunto. I costumi (peraltro molto simili agli originali), le ambientazioni, la reggia di oro, marmi, e pietre preziose, le rolls royce, i barboncini, il lusso sfrenato, Las Vegas… Se Willy Wonka si fosse occupato di gioielli, invece che di cioccolato, probabilmente sarebbe vissuto a Villa Liberace.

Così come eccessive sono le interpretazioni del film, su tutti ovviamente Michael Douglas, al quale si deve riconoscere un gran coraggio nell’affrontare, probabilmente a fine carriera, un ruolo non tanto omosessuale quanto “camp”, dopo esser stato negli anni 80 e 90 un sex symbol nei vari Alla Ricerca della Pietra Perduta, Basic Instict, Attrazione Fatale, Rivelazioni… L’impegno non solo è notevole, ma addirittura (rieccoci) eccessivo, visto che appare ancora più gay che nelle apparizioni dello showman che si possono ancora vedere in rete; e finisce col regalare un personaggio a dir la verità piuttosto odioso e petulante: un Elton John perennemente in crisi pre-mestruale. Idem per quanto riguarda Matt Damon, il quale però appare meno bi-dimensionale dell’amante maturo, il cotonato stallone ignorante, palestrato, semplice, bigotto (!) e fondamentalmente usato dall’altro. Un bel tocco del regista è far vedere la stessa scena due volte: la prima volta è il “vecchio” amante Billy che mangia al tavolo senza degnare di uno sguardo il nuovo Scott, la seconda volta è lo stesso Scott che riserva lo stesso trattamento al suo futuro successore Cary. La vita di Liberace come uno spettacolo che, meraviglioso e lucente nel breve,  semplicemente è una replica vista da abbastanza lontano…  prevedibile (ogni) finale, col giovane amante scaricato che porta il vecchio artista in tribunale per spillargli soldi un’ultima volta.

Giudizio finale? Per niente convincente, soprattutto la prima ora che sembra veramente una parodia o una farsa. Tra tanti personaggi posticci, spicca Rob Lowe, che ci regala un chirurgo plastico (ovviamente gay) patetico come pochi… e alcune chicche mostruose, come Liberace che non potrà chiudere completamente gli occhi dopo i suoi terrificanti  trattamenti in sala operatoria.

Migliore la seconda parte, soprattutto il funerale finale, un trionfo del kitsch (ma riuscito, a differenza della maggior parte del film) ma non abbastanza per salvare l’insieme. Curioso che, per un’opera dalle modalità così eccessive, il tutto sembra fin troppo insipido alla fine. Facciamo una metafora in linea col film? Se fosse un vino, Dietro i Candelabri  sarebbe uno di quei rossi dal bouquet ricchissimo, ma che una volta aperto si rivela senza carattere.

Dopo Magic Mike (e solo parzialmente riscattato da Effetti Collaterali), Soderbergh appare in picchiata, lontanissimo da Traffic, Bubble, e persino Ocean’s Eleven.  “Too much of a Good Thing … is Just Wonderful”. Non sempre, Lee.  VOTO: 5,5/10

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