Il Collezionista di Carte – Una Vita In Gioco

Il Collezionista di Carte – Una Vita In Gioco

Uno di quei casi in cui il titolo italiano è da denuncia, con un film evidentemente così nominato per usare il richiamo di altri titoli (Il Collezionista, Il Collezionista di Ossa) che ovviamente non c’entrano niente con questo, né come traduzione (il titolo originale è The Card Counter), né come genere (non è certo un thriller poliziesco).

Regista è Paul Schrader, iconico sceneggiatore con Martin Scorsese (che qui produce, sue le scritture di Taxi Driver e Toro Scatenato) e anche regista (su tutti American Gigolo, il più noto, ma anche il gioiellino Autofocus, lo scabroso Il Bacio Della Pantera e il sottovalutato Cortesie Per Gli Ospiti).

Protagonista William Tell (o anche Will Tell, che per gli amanti della semiologia, ovviamente contiene un indizio non secondario, oltre ad essere il cecchino Guglielmo Tell in italiano, naturalmente), ex interrogatore/torturatore per la CIA di detenuti ad Abu Grahib, interpretato da Oscar Isaac, ora giocatore professionista di poker e black jack (ecco il riferimento – almeno quello immediato- del titolo). Il nostro gira di casino in casino, di stato in stato, vincendo quello che può senza destare interesse, rimanendo sotto traccia, come dice lui, visto che di anni in galera (per essere stato riconosciuto colpevole di quei crimini di guerra) se ne è fatti ben 8.

La sua vita, tutta uno spostamento di motel in motel (con il mobilio maniacalmente avvolto in lenzuola da lui per evitare la sporcizia), viene sconvolta dall’arrivo del giovane figlio di un suo ex-collega, Cirk /Tye Sheridan, suicidatosi per il danno emotivo e mentale ricevuto dall’esperienza.  Con l’aiuto della broker LaLinda (una molto credibile Tiffany Haddish)  cercherà di aiutarlo a tornare agli studi e non a perseguire l’idea di assassinare il capo di quelle operazioni di tortura (John Gordo, il sempre mefistofelico Willem Dafoe), che l’ha fatta franca.

Il film di Schrader è girato con gran classe e, sia le immagini, che il protagonista (come si veste, come si muove, come ragiona), che la musica (molto sintetizzatore in stile Moroder, ad opera di Robert Levon Been, anche autore delle canzoni) ricorda proprio American Gigolo (e -semispoiler- occhio al finale!): un glaciale e perfetto professionista, che ad un certo punto della sua vita, proprio mentre sembra essere sulla via della redenzione (o di una parvenza di felicità), va in tilt (sempre per usare le parole del protagonista).

A dire la verità però, è un film che non ci ha convinto fino in fondo: paradossalmente le parti più interessanti sono proprio quelle in cui il protagonista è al tavolo da gioco, e ci porta, con dei dialoghi interiori, a capire i misteri e le dinamiche di un mondo sommerso, quello dei professionisti del gioco. L’intreccio con la trama (quella della redenzione attraverso l’emancipazione del figlio dell’ ex collega) è interessante e prende anche una svolta interessante, ma proprio quando la storia avrebbe dovuto chiudere in bellezza, rimane curiosamente tirato via, quasi strozzato. Insomma: un film sempre sul bordo di diventare un grande film, e invece, ci tradisce proprio negli ultimi 15’ (se dobbiamo dirla tutta: ESATTAMENTE come American Gigolo – evidentemente i climax non si addicono al regista- che però rimane un cult di inizio ’80).

Un buon tris d’assi, ma non una Scala Reale. VOTO: 6,5/10

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