L’Uomo Del Labirinto – Nuovo Cinema Inferno

L’Uomo Del Labirinto – Nuovo Cinema Inferno

Seconda prova alla regia per Donato Carrisi, tedenzialmente uno scrittore di successo, e secondo thriller per lui dopo La Ragazza Nella Nebbia.

Samantha Andretti viene ritrovata dopo 15 anni di rapimento: non si sa se riuscita a sfuggire o sia stata liberata, ma è libera. Due sono i personaggi che cercano di catturare il criminale per portarlo alla giustizia: uno è Genko, investigatore privato maleodorante e morituro, che 15 anni fa era stato ingaggiato -invano- dai genitori di Samantha; l’altro è il dottor Green, un profiler che scava nella mente della protagonista ricoverata in ospedale per trovare informazioni utili.

Dopo Il Signor Diavolo di Pupi Avati, ecco un altro thriller di genere (quello psicologico tipo Il Silenzio Degli Innocenti) che affiora in Italia in mezzo al mare magnum delle commedie di diverse qualità. Chissà se sia l’inizio di un rinascimento, in fin dei conti tra gli anni ’70 e ’80 i vari Argento, Fulci, Bava e lo stesso Avati, l’Italia era considerato uno dei Paesi caposcuola.

Quindi una lodevole iniziativa, peraltro Carrisi è uno degli scrittori che in questo momento è assolutamente sull’onda, chissà se la regia sia il suo sogno nel cassetto. In genere sono pochissimi gli scrittori che riescono in questo salto, uno su tutti Stephen King che chi aveva provato, purtroppo -secondo noi – con scarsi risultati.

Ecco, non sappiamo se Carrisi si sia ispirato a King nel scrivere il suo libro (che non abbiamo letto), ma ci sentiremmo di sconsigliarlo nell’imitare il suo approccio alla regia, dando per assodato che la sceneggiatura, visto che è la sua, deve averlo convinto.

Il film è un guazzabuglio di idee  e stili visivi che attingono a mille fonti senza una vera e propria logica, e in genere nel modo peggiore. Dove si svolge il racconto? Sembra un non-luogo, né Italia né Stati Uniti, ma un po’ lo stereotipo di entrambi. In che anni? Com’è che Genko ha un Mac con Skype installato sopra e la polizia usa il Vic20 e dei classificatori anni ’70 per fare ricerche?  Ci sembra una caricatura di David Lynch. Le atmosfere dove i protagonisti si muovono in un noir fatto di luci geometriche, mentre parlano in un italiano caricato e teatrale, dove mangiano salsiccia in umido e bevono vodka e whisky…  Cosa è, Sin City incontra Bud Spencer? E le atmosfere malate alla Seven con labirinti, topi di fogna, insetti all’ospedale (in una camera tipo il Cardarelli di Napoli) o con i set che sembrano Dario Argento che fa un remake di Blade Runner (vedere per credere, il boudoir della prostituta collezionista di unicorni).  Sembra quasi di vedere regista, fotografo e Responsabile della Colonna Sonora al tavolo: “Ma qui non vuoi metterci un po’ di Profondo Rosso?”; “E qui se rifacciamo quella scena di Frank Miller? Pero’ come il fumetto, non come Rodriguez, che è commerciale”; “E la musica in crescendo per trasmettere ansia? è un classico, così anche i 70enni sono soddisfatti” “Anche quel pezzo di Prisoners di Villeneuve, dai, con la vecchietta fortissima”, “e il coniglio demoniaco di Donnie Darko? Figata!” “ah, i numeri 23 che fanno molto onirico”, “ma sai che voglio anche metterci il cesso di Trainspotting”? Neanche Tarantino è così derivativo, e di certo non infila così tanti riferimenti scomposti.

Il tutto reso ancora peggio dal potenziale interpretativo a disposizione di Carrisi: Toni Servillo che sembra sperduto come mai lo avevamo visto, e un Dustin Hoffman, in palese gita italiana, che deve aver rimpianto sia Pietro Germi ma anche lo spot del Caffè Vergnano. Lasciamo stare Vinicio Marchioni (Intimidito) e soprattutto Valentina Bellè, che di certo non poteva risollevare dei dialoghi scritti così male, ma ci mette del suo con l’interpretazione così caricaturale.

Magari all’estero sfonda. Oppure, fanno finta di niente, che per il cinema italiano sarebbe molto meglio. Sprofondo Rosso. VOTO: 4/10

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