BlacKkKlansman – Non è (mai stato) un Paese per Neri

BlacKkKlansman – Non è (mai stato) un Paese per Neri

Il regista nero più iconico e politico di Hollywood che ci racconta una delle storie più curiose su un’infiltrazione all’interno dell’organizzazione più razzista degli Stati Uniti ovvero il KuKluXKlan, ad opera di un poliziotto nero (!).

Diciamo che gli indizi per rendere la storia interessante c’erano tutti, soprattutto in un periodo storico dove i rigurgiti razziali di legittimare un pensiero palesemente segregazionista ci sono tutti, negli Stati Uniti come in Europa; e non a caso, il film di Spike Lee si apre con un monologo sulla supremazia bianca (ospite Alec Baldwin) e si chiude con gli incidenti dello scorso anno in Virginia (immagini vere), tra i dimostranti del Potere Bianco e quelli del Potere Nero.

Come dicevamo, trama grottesca: siamo negli anni ’70 in Colorado e  Ron Stalworth, poliziotto nero, riesce con una telefonata a farsi dare un appuntamento presso la sede locale del KKK: purtroppo per lui, si dimentica di dare un nome falso, e dunque invia il collega Flip (bianco) all’appuntamento sotto mentite spoglie. Finirà con lo scoprire un attentato contro gli attivisti neri, in cui incidentalmente, lo stesso Stalworth è pure infiltrato (in questo caso, senza bisogno di interposta persona).

Le tonalità scelte da Lee sono quelle della commedia grottesca, nonostante la tematica non proprio soft: ma in fin dei conti, l’assurdità della situazione non poteva che svilupparsi con questa modalità per essere credibile. Finisce con l’essere una presa in giro di tutto quello che è White Supremacy negli USA: i bianchi ignoranti e stupidi, David Duke, le croci in fiamme, Nascita di Una Nazione di Griffith (il polpettone che, aspramente criticato da Lee stesso ai tempi dell’università, quasi gli costò l’espulsione), la rielezione di Nixon, i patetici tentativi di Trump di tenere i piedi su due staffe… stilisticamente, per la gioia dei fan, Tanti i “trademarks del regista presenti, come gli oggetti razzisti che si trovano tranquillamente su internet (come i bersagli a cui sparano i membri del KKK), gli intermezzi musicali coi fiati, persino l’iconica carrellata in avanti dei personaggi.

Alla resa dei conti, BlacKkKlansman è un film che qualcuno definirebbe “necessario”, ma ad essere sincero non ci è parso tra i migliori di Lee: lo sviluppo è fin troppo caotico, defocalizzato; ci sembrano tanti i passaggi (tipo i riferimenti alla cultura Black degli anni ’70 – come il Soul Train e i film di Blaxploitation) che ci sembrano un po’ posticci e ci allontanano dallo scopo del film. E se Lee voleva fare una denuncia del razzismo strisciante che inizia ad essere legittimato un po’ ovunque, avrebbe dovuto essere più diretto per alcuni versi, e più subdolo per altri. Ok, per il KKK, quale è la posizione verso i Black Panthers? Li condanna o li giustifica? Poteva non piacere il Lee manicheo di Fa’ La Cosa Giustaì, ma così come è, ci sembra non andare in nessuna particolare direzione. Ci sembra lontanissimo dalla violenza urbana e poetica de La 25a Ora, e dal melting pot adrenalinico di Inside Man.

Gli attori sono funzionali, ma non ci sembrano così convinti neanche loro: paradossalmente non sono i protagonisti ad essere i più in palla (John David Washington – il figlio di Denzel Washington- e Adam Driver), ma quelli di contorno, come il redivivo Topher Grace (un David Duke credibilmente ridicolo), e il suddetto Alec Baldwin, che in 3 minuti di monologo dà una bella lezione di potenza recitativa (evidentemente, invecchiando il buon Alec migliora).

Sbiadito. VOTO: 6/10

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