Black Panther – Il Futuro della Marvel è Nero, anzi Roseo.
Il primo supereroe nero della storia dei fumetti appare nel 1966 sulle pagine de I Fantastici Quattro; e dopo la trilogia di Blade (un supereroe un po’ sui generis) a cavallo del 21 secolo, questo di Ryan Coogler (il regista di Creed, il nuovo Rocky, di colore ovviamente) è il primo vero e proprio tentativo di dedicargli un cinefumetto su schermo; ad essere sinceri, il rischio che ne venisse fuori qualcosa di tamarro (stile Cage della serie TV per intendersi) era più che concreto.
Trama: il giovane re T’Challa dell’immaginario regno ipertecnologico di Wakanda ne è anche il suo protettore, Black Panther, dotato di forza e riflessi sovrumani che gli derivano da erbe magiche e di armi futuristiche che gli derivano dai grandi giacimenti di Vibranio, un metallo indistruttibile dalle proprietà stupefacenti; lo è diventato dopo l’assassinio del padre ed ora il suo regno è minacciato da un pericoloso terrorista, Killmonger. Riuscirà a sconfiggerlo, nonché a tenere a bada le altre tribù del Wakanda dal recriminare il suo diritto al trono?
Personaggio non troppo noto, di nicchia si direbbe; il battage pubblicitario è stato notevole, subito classificato come un eroe diverso; ed in effetti il film si discosta abbastanza da quanto visto sinora dai cinefumetti della casa Disney; evidente come oltre all’ambientazione piuttosto poco scontata (principalmente l’Africa Nera), si sia voluta dare una connotazione meno buffonesca e apertamente teen di altri recenti episodi (Thor Ragnarok, Guardiani della Galassia, l’ultimo Spiderman), più matura. Non a caso, Coogler, un po’ una versione aggiornata di Spike Lee per alcuni versi, inizia il film con un anno chiave nella storia dei neri d’America, il 1992, anno della grande rivolta razziale ispirata ai pestaggi di Rodney King (e dei grandi film politici di Lee, appunto); e non è un caso visto che proprio l’attuale presidenza degli USA, in qualche modo sembri esacerbare i conflitti dovuti alle diversità.
Niente da dire, il film è davvero uno dei migliori cinefumetti recenti, al pari di un altro outsider di un annetto fa, ovvero Doctor Strange: si vede che è quando esce dai personaggi iconici, con più libertà e meno vincoli di copione, che i Marvel Studios diano il meglio di sé. Non solo gli attori ci sono sembrati azzeccatissimi, da Chadwick Bosman a Michael B. Jordan (cattivo credibilissimo), da Forest Whittaker a Angela Bassett, da Lupita Nyongo a Laetitia Wright a Danai Gurira (altro che la penosa valchiria di colore di Thor Ragnarok); agli unici due bianchi Martin Freeman e Andy Serkis (miracolosamente con la sua vera faccia, invece dei vari Pianeta delle Scimmie e King Kong) ma Coogler è riuscito a creare un mondo totalmente nuovo (con una frammistione di tribale e tecnologico, di animalesco e futuristico) e totalmente credibile, immaginifico. Vere lingue africane e bellissimi costumi ispirati alla tradizione africana danno una varietà davvero spettacolare, creando una cultura degna di un fantasy di alto livello. La trama, un riuscitissimo incrocio tra Il Trono di Spade e L’Uomo Mascherato, non si perde in mille rivoli come altri film simili e non solo riesce ad inserire una dimensione spirituale delicata ma potente (come i “sogni” in cui i figli conferiscono coi loro padri,) ma riesce a mantenere una connotazione politica senza sembrare sforzato, tanto che il messaggio finale (un discorso di T’Challa all’ONU), meriterebbe di essere ripreso anche dai politici, quelli veri. Del resto, in un mondo dove comici e buffoni col parrucchino sembrano avere successo, anche un supereroe farebbe la sua figura. VOTO: 8/10