
Bohemian Rhapsody – Le Leggende del Rock non Muoiono Mai
Lunghissima la gestazione di questo biopic del leggendario gruppo rock Queen, progetto che ha impiegato quasi 10 anni a vedere la luce. Persino travagliata la regia del Bryan Singer de I Soliti Sospetti e X-Men, sostituito in corsa da Dexter Fletcher (che uscirà nel 2019 con il biopic di Elton John) per serie divergenze manageriali più che artistiche del film.
Naturalmente, a fare la parte del leone in questo film, è il monumentale Freddie Mercury, cantante e solista del gruppo; immigrato da Zanzibar nell’adolescenza a Londra, con i suoi timidi inizi nel 1970, poi l’esplosione del suo incredibile talento vocale e di showman, la sua controversa personalità privata, tutto raccontato come un cerchio che si apre e chiude nella memorabile performance dei Queen al Live Aid del 1985.
E se il Live Aid è l’inizio e la fine di questa storia, il fulcro ne è la composizione e il lancio di quella che forse è la canzone più iconica del gruppo, ovvero Bohemian Rhapsody, 6 minuti di fusione rock, pop, operistica, trascurata dalla casa di produzione e dismessa dai critici quando uscì, snobbata dalle radio perché troppo lunga, e letteralmente portata al successo dal pubblico contro tutte le aspettative. Non quelle dei Queen, che la ritenevano, nel 1975 quando la composero, la canzone che li avrebbe fatti passare alla storia. Un testo incomprensibile al tempo, ma riletto alla luce dell’effettiva storia di Mercury (da timido reietto, a icona rock a malato di AIDS che lo farà spegnere a 45 anni), oggi ha perfettamente senso.
Il film è di fatto la versione autorizzata da due dei Queen superstiti (Brian May e Roger Taylor), il che causa due effetti: se da un lato, forse non scava moltissimo nei meandri della controversa vita privata e sessuale di Mercury (quasi a proteggerne la memoria), dall’altro lato ha tutta l’energia dei leggendari concerti dei Queen, secondo noi, a livello di biopic, quelli forse meglio raccontati dai tempi di The Doors di Oliver Stone. Gli inizi progressive rock, e la trasformazione in pop rock degli anni ’80, fino alla già citata pietra miliare del Live Aid, nel film 10 minuti straordinari e resi al meglio dai 4 interpreti. Il Line Up della colonna sonora è da enciclopedia dei Queen, da Keep Yourself Alive a We Will Rock You, da Killer Queen a Radio GaGa.
Il che ci porta ai 4 attori protagonisti: somiglianze straordinarie, ma anche emulazione perfetta. Gwylim Lee (Brian May), Ben Hardy (Roger Taylor), Joseph Mazzello (John Deacon) e soprattutto Rami Malek (Freddy Mercury) sono impressionanti. Malek in particolare lascia sbigottiti, seppur di mole meno imponente, recupera nelle movenze (e nel difetto fisico della dentatura, ma non solo) e manierismi il Mercury del tempi d’oro (e le fragilità nella vita “reale”). C’è un momento davvero che lascia un groppo in gola, quando la band lascia il palco del Live Aid, davanti ad un pubblico in delirio e lui si gira verso gli altri (che già sanno della sua malattia), guardando per un secondo verso la camera, quasi un presagio.
Il film di Singer/Fletcher ha peraltro il pregio di non perdere mail il ritmo e di avere sempre una sfumatura di non prendersi sul serio. Chicca: il produttore che stronca Bohemian Rhapsody, dicendo che “non sarà mai una canzone per cui i teenager si metteranno a scuotere la testa al ritmo” (e preferendole I’m in Love With My Car – una specie di barzelletta del film) è interpretato da Mike Myers, che farà esattamente quello in Fusi di Testa (1991)!
Ad esser sinceri, sono più di una le incoerenze storiche del racconto (da un punto di vista cronologico), non ultimo il fatto che Mercury apprese della sua malattia un paio di anni dopo il Live Aid, e il fatto che, a differenza di quanto raccontato nel film, non ci sia mai stata una rottura tra lui e la band durante la sua esperienza da solista. Ma come disse John Huston, “tra la vita e la leggenda, scegli sempre di raccontare la leggenda”. E qui ci sta tutta. VOTO: 7,5/10